Ho voluto scrivere questo post perché, negli ultimi anni, si parla molto del volontariato. Inoltre è un argomento che mi interessa da vicino.
Anche l’età sempre più giovane si affaccia a questo ruolo: il volontario.
Diverse associazioni ormai propongono corsi di formazione ai propri adepti, con un fascio di età che spazia dai quattordici anni in poi.
Chi vuole diventare un volontario deve seguire il corso che, per alcune associazioni, parte da concetti base di nozioni generali fino a corsi specifici elaborati e intensi per associazioni umanitarie di inportante formazione e informazione.
Ci accostiamo quindi a volontari di Croce Rossa, protezione civile, vigili del fuoco, missionari, con una preparazione intensa e prolungata e corsi di poche ore con nozioni base per enti di minor responsabilità.
Come in tutto però, ci sono i pro e i contro. Alcune persone indietreggiano di fronte al dover seguire un corso obbligatorio per fare volontariato.
Fermo restando che per molte associazioni questo è indispensabile per altre può risultare inefficiente. Chi poi deve giudicare il singolo percorso e dare un giudizio riesce ad essere obiettivo? È in grado di dare una risposta affermativa corretta o tende a farsi guidare da giudizi relazionali personali?
Quindi, se da una parte il corso che si deve intraprendere viene ritenuto indispensabile da ambo le parti (ente e futuro volontario), dall’altra scarta a priori un certo numero di persone che non lo ritengono appropriato. Quindi la bilancia non è mai equilibrata.
Vorrei citare, in poche righe, anche il ruolo del volontariato episodico che è il volontariato del futuro: interessa una fetta sempre più ampia di cittadini, non è limitato solo ai grandi eventi ma riguarda temi trasversali, dalla cura dei beni comuni alla gestione delle emergenze.
Nella mia vita ho fatto tanto volontariato, quando ero giovane io era diverso.
Se ritenevi di voler dedicare parte del tuo tempo, gratuitamente, avevi solo da cercare e il tutto era a portata di mano.
Il probabile volontario si presentava nell’ente in cui voleva prestare servizio, o rispondeva a inserzioni in cui chiedevano supporti di aiuto. I contatti erano questi. Allora davi la tua disponibilità e eccoti arruolata. Avevi il tuo orario, le tue mansioni. Eri una volontaria sotto tutti gli effetti. A giudicare il tuo futuro operato bastavano alcune semplici domande con relative risposte ed eri giudicata in pochissimo tempo idonea o meno.
Serietà, altruismo, volontà erano doti essenziali e primarie per fare volontariato.
Personalmente ho prestato aiuto presso un ente di giovani con la sindrome di down, ho accompagnato per anni una ragazza non vedente a fare commissioni, al lavoro, ho fatto campi di lavoro in Toscana, ecc. ecc.
Oggi invece il tutto è organizzato, i volontari sono aumentati (forse perché oggi sono censiti per cui se ne può dedurre il numero). Molti hanno la divisa e possono essere riconosciuti e questo conferisce un valore aggiunto. Dal punto di vista del cittadino, perché si trova più a suo agio e interloquisce meglio, e anche da parte del volontario che, indossandola, da un volto al tipo di struttura a cui appartiene.
Ma l’abito non fa il monaco, come menziona il proverbio italiano.
« Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall’altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n’ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all’albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno. »