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Le stagioni del mare

Un bambino guarda il mare
e ritorna a giocare,
prende sabbia e secchiello
e comincia a fare un castello.
È talmente impegnato

con le torri e il tracciato,
non si accorge di nient’altro
gioca con il papà a fianco.

Un ragazzo guarda il mare
e comincia a scrutare,
cerca chi tra le onde nuota
e il suo sguardo intanto nota
una giovane ragazza
che gli piace abbastanza,
deve solo avvicinarsi
e in breve presentarsi.

Una mamma guarda il mare
e comincia a sognare,
era bello poter nuotare
e tuffarsi in alto mare.
E poi a riva ritornare

e abbronzarsi fino a scottare,
ma ora non lo può più fare,
ha il bambino da guardare.

Una nonna guarda il mare
e il ricordo in mente appare,
lei, al sole a crogiolare
e il suo corpo da osservare.
Pensa al tempo che è volato
e le torna in mente il passato.
Quanti ricordi dentro al mare,
quanti pianti da dimenticare.

Lei da sola sulla spiaggia,
e il mare l’asciugamano bagna,
una lacrima cade giù,
non importa, è solo una in più.
La sua vita è stata bella,
alza lo sguardo e vede una stella.

Guarda l’onda avanzare
e ricomincia di nuovo a sognare.

È forte il mio papà

Il mio papà è tanto bello
e porta sempre un fiore all’occhiello,
dice sempre alla mia mamma
che lei è stata la sua prima fiamma.

Io non lo so che cosa vuol dire,
ma questa frase la fa impazzire,
allora lo copre di mille bacetti:
i miei genitori sono perfetti!

Dorme vicino alla mia mamma,
mi sa che il buio per lui è un dramma,
penso di dargli il mio pupazzetto,
che è da sempre con me nel letto.

Ma ho paura che ci rimanga male;
per tutti forte deve sembrare,
in vacanza dice che è un lupo di mare;
ma se non sa nemmeno nuotare…

Ma nonostante queste paure,
la sua presenza ci rende sicure,
con lui vicino ci sentiamo protette
e ci sentiamo due reginette.

La leggenda della donna foca

Mitica leggenda irlandese, raccontata in più versioni.

Più precisamente si tratta di Selkie, creature mitologiche della mitologia irlandese, islandese, e scozzese che possono trasformarsi da foche a donne nelle notti di luna piena.

Si credeva che le foche fossero persone annegate in mare e che una volta l’anno ritornassero sulla terra, si togliessero la pelle di foca e ritornassero umane per una notte di danze.

Scrivo della versione irlandese, più fantastica, delle Isole Faroe, più precisamente a Mikladalur, isola al Nord dell’Irlanda, un piccolo paesino molto caratteristico e tenuto bene, dove è situata la statua della donna foca.

Un giorno un contadino, che voleva vedere se esistevano veramente le Selkie, si nascose sulla spiaggia per osservare e da lì vide una bellissima donna foca.

Sottrasse il manto della giovane ragazza che, in questo modo, non poté più tornare in mare. Il giovane la costrinse poi a restare con lui e sposarlo, mentre teneva il manto sotto chiave in uno scrigno.

Un giorno, mentre è in mare a pescare, si accorge di non aver portato con sé la chiave dello scrigno e, quando torna a casa, trova che la sua sposa è già fuggita in mare, con i suoi simili.

Da quel giorno il contadino non la vide più, anche se, quando usciva in mare, una foca si aggirava costantemente attorno alla sua barca.

Tratto da:

 

Cooperativa femminile di pesca in Marocco

Pensando alle numerose barche che ho visto partire alla sera o ritornare all’alba intravedo, nei miei ricordi, uomini abbronzati, magri e sento nell’aria l’odore salmastro del mare.

Infatti questo mestiere così antico , tanto che lo ritroviamo in favole, canzoni e racconti, è sempre stato per tradizione appannaggio strettamente maschile. Così, per quanto oggi in moltissimi Paesi le donne abbiano libero accesso a tutte le professioni, è difficile cancellare degli stereotipi così duraturi e c’è chi ancora si stupisce al pensiero di una donna che si imbarca su un peschereccio.

Anche a me è difficile quindi pensare a donne che possano svolgere questo mestiere. Ma mi sbagliavo.

Vorrei citare in questo mio articolo una iniziativa perché, come mi è solito fare, ho avuto modo di vedere un servizio che trattava di questo.

Parliamo del Marocco, dove è stata creata la prima cooperativa di pesca al femminile, fondata nel 2018 tra mille tabù e tradizioni da sfidare in un Paese ancora fortemente maschilista. Ecco perché quella di Fatima, Fatiha e delle loro sorelle pescatrici della cooperativa di Belyounech è una storia di passione per il proprio mestiere.

Fatima, la presidente della cooperativa dice: “Il mare è tutta la mia vita, quella dei miei figli e della gente del villaggio”.

“Agli uomini non piaceva il fatto che una donna praticasse la pesca in mare”, ha dichiarato invece Fatiha Naji, e infatti le donne si limitavano ad aiutare a riparare le reti e a pulire le barche senza però venire retribuite. Quella che mancava era una formazione al femminile, ma anche e soprattutto un’apertura mentale che poteva ottenersi solo a costo di sfidare i molti tabù della società.

Un gruppo di donne ha deciso di mettersi in gioco e il loro progetto si è concretizzato. All’inizio hanno iniziato a venire retribuite riparando le reti, poi, dopo due anni di formazione le 19 donne della cooperativa si guadagnano da vivere con i loro pescherecci. Tuttavia le donne continuano a subire insulti e minacce.

Nel seguire la loro passione, queste donne hanno aperto una strada che fino alla generazione precedente sembrava semplicemente impossibile e l’hanno fatto con il coraggio di immaginare un mondo diverso. “Lavorare in mare non è facile”, spiega Fatima, “ma è quello che io e le mie sorelle amiamo. Alla fine è un sogno che si è avverato”.

Tratto da:

https://www.elle.com/it/magazine/women-in-society/a32576541/la-prima-cooperativa-femminile-di-pesca-in-marocco/

Il guardiano del faro

Come ho scritto più volte amo la montagna ma anche il mare. Sono nata in una città di mare per cui questo elemento l’ho nel mio DNA. Da giovane passavo molte ore in spiaggia nel mio tempo libero, da Marzo fino a Novembre e amando molto abbronzarmi mi crogiolavo al sole per ore e ore. Il silenzio rotto solo dalle onde che battevano dolcemente sulla battigia faceva da sottofondo ai miei pensieri.

Quando ho letto la storia di Paolo ne sono rimasta incantata. Sessant’anni portati bene, fisico magro, un po’ di barbetta grigia. Ha deciso di diventare farista per aver sempre un contatto diretto e costante con il  mare, il vento, la natura, fuori da tutto, da ogni schema, e per la libertà di organizzarsi la giornata e gli impegni lavorativi.

L’orario di lavoro di Paolo è dalle 8 alle 14 per  cinque giorni a settimana. Dopo 25 anni di lavoro al servizio fari presso il comando Zona Fari di La Spezia, ha deciso di accettare, due anni fa, questo ruolo. Il faro è quello di Portofino, cittadina clou della riviera di levante del litorale ligure.

Il Servizio fari è affidato dal 1911 alla Marina militare. Si accede al lavoro di Guardiano del faro solo se si è dipendenti della Marina, occorre poi avere la categoria di assistente tecnico nautico, avere la patente militare e l’autorizzazione a condurre natanti.

 Paolo deve risolvere tempestivamente le varie avarie, la pulizie delle ottiche dei vetri in modo che il segnalamento abbia la massima visibilità, le varie manutenzioni agli impianti».

La nostra idea “romanzata” di farista è diversa. La nostra immaginazione ci porta a pensare al faro collocato in mezzo al nulla, in zone nordiche dove il mare impervio, nelle notti di tempesta, si abbatte sulla terra abbattendo tutto ciò che incontra.

Quante storie potrebbero raccontare i fari !  Di terribili tempeste che li squassavano alle fondamenta, di salvataggi, di naufragi e, ma c’è un altro aspetto dei fari poco conosciuto, ma altrettanto affascinante : IL MISTERO.  Forse perché si trovano sempre in zone isolate e selvagge il pensiero corre a presenze misteriose che li abitano, sarà per via del vento che sibila su per le scale a chiocciola, per il rumore delle onde ai suoi piedi,  o per il tamburellare della pioggia sui vetri …forse si tratta di vecchi  guardiani finiti in mare nel tentativo di un salvataggio, o di uomini e donne morti di solitudine, lontani da tutto. 

Ma la storie più belle le racconta quel fascio di luce che spazza il buio della notte, quel fascio che lambisce il mare, che dice al il marinaio che lì c’è un pericolo da evitare, e che da lì può arrivare al porto e alla salvezza.   

Ma sappiamo che I fari sono monumenti antichi, molti risalgono ad epoche lontane, i più recenti sono stati costruiti nei primi anni del 1900 ed hanno quindi già più di cent’anni e non ne verranno più costruiti, non ce ne saranno mai dei nuovi, sono quindi il ricordo di un’epoca passata che non tornerà più.

Ritornando a Paolo aggiungo che bisogna esserci portati per fare questo mestiere, non soffrire di solitudine, essere capaci di stare bene con se stessi e, cosa più importante, saper fare di tutto.

Egli afferma: «Il mio sguardo che si perde verso  un orizzonte unico ed inspiegabile, la solitudine ed il contatto con il mare blu e le onde spumeggianti mi ripagano di ogni arduo sacrificio e dei piccoli sforzi quotidiani».

Tratto da: 
https://nuvola.corriere.it/2019/02/13/paolo-guardiano-del-faro-la-mia-vita-a-contatto-con-la-natura/

https://digilander.libero.it/2mareblu/storie_di_fari.htm

Iniziativa filastrocche

Siamo giunti alla premiazione della filastrocca del mese di Novembre tramite la collaborazione del mio blog con il forum Graficamia. 

La vincitrice è Lorette con il lavoro abbinato alla filastrocca:

Non sono un pesce

Mi sono tolta il pannolino
e mi sono infilata il costumino,
ora nel mare mi devo buttare
ma ho paura, non c’è niente da fare.

Il babbo mi guarda con un sorrisetto,
il baffo trema, mi dà uno sberleffo.
Questo mi fa ancora più arrabbiare
e non mi aiuta di certo ad entrare.

Passa davanti a me un pesciolino,
mi dà uno sguardo, è proprio carino.
Chissà chi gli ha insegnato a nuotare,
eh, la natura, quante cose sa fare.

E noi bambini invece perché,
dobbiamo nuotare, senso non c’è.
Già dobbiamo imparar a camminare,
e la pipì addosso non possiamo più fare.

Se sbagliamo in qualcosa ci sanno sgridare,
siamo piccini, dobbiamo imparare.
Il pesce nuota, la rana salta,
l’uccello vola, la biscia avanza.

Invece io devo imparare a nuotare,
non sono un pesce ma lo devo fare.
Guardo la mamma e poi il papà,
mi butto nel mare, che contenti li fa!

La sposa del mare

Mi appassiono molto a quelle persone che riescono ad ottenere dalla loro vita quello che vogliono. Tante volte i nostri nonni o i nostri genitori avevano un sogno nel cassetto, ma per tanti motivi non hanno potuto realizzarlo. Che fosse un lavoro o un obiettivo diverso non importa.

Molti hanno dovuto ripiegare sul lavoro dei genitori, che questo consistesse nel portare avanti una attività commerciale o lavorativa in genere. Riguardo agli hobby se le risorse  economiche non lo permettevano rimanevano sogni nel cassetto.
E tu vivevi con stretto al cuore il tuo sogno. Magari facevi anche un lavoro che non ti appassionava e quindi ti adattavi a quella situazione perché non potevi fare altro.

Poi i tempi sono cambiati e, se volevi, potevi sceglierti il tipo di lavoro o di studio. E la vita così migliorava.

Negli ultimi decenni siamo ritornati indietro, ti potevi scegliere il tuo percorso di studio ma che poi, per la maggior parte, non lo portavi avanti come obiettivo futuro per carenza di posti vacanti.

Perché ho scritto questo articolo? E riprendo il discorso iniziale: mi appassiono molto a quelle persone che riescono ad ottenere dalla loro vita quello che vogliono.

E voglio scrivere di una donna soprannominata La sposa del mare. Il suo nome è Anna Maria Verzino, di Casalbordino Lido (Chieti) e fa la pescatrice.

Ha iniziato la sua attività ad appena 5 anni, accompagnando il padre Donato a pescare con la barca. Verso i 30 anni, convinta pienamente che quello sarebbe stato il suo lavoro ha ottenuto la licenza di pesca, perché era stata approvata la legge sulla parità dei sessi. L’ha ottenuta dopo aver superato le prove di abilità, quali il nuoto e gli esami.

Lei, unica donna in mezzo a tutti maschi.

Il lavoro del pescatore, come ben sappiamo, è molto impegnativo, sia se sei costretto a stare  fuori con la tua barca tutta la notte sia se esci solo per piazzare le nasse e le recuperi il mattino. Anna Maria faceva così, le ritirava al mattino.
E, come fanno tutti i pescatori, vendeva il pesce sulla spiaggia. A quei tempi era inusuale che questo lo facesse una donna.

Anna Maria è una donna schiva che non ama farsi fotografare e parlare di sé, ama la vita e ama soprattutto il lavoro che si è scelta. Non per necessità o per seguire le orme del padre ma perché il mare l’aveva dentro di sé, il mare era il suo mondo.
La mamma voleva che diventasse sarta ma lei rifiutò perché voleva diventare una pescatrice. E non si è mai pentita di questa scelta.
Nutrì un grande amore per Gloria, la sua prima barca e le altre che le succedettero ebbero sempre lo stesso nome.

«Quando cucino metto il gas molto basso sotto la pentola, così posso uscire sul balcone e guardare il mare». Meglio di questo concetto per definirla non esiste.
“Il mare per me è il mio mare. Gli voglio bene come se fosse una persona. È stata la mia vita intera”.

A ottantaquattro anni Anna Maria ancora affronta il mare, alcune volte con il fratello Bruno, spesso in solitaria avventura, in cerca non tanto di economie con cui contribuire alla vita familiare, ma, oggi più che in passato, alla ricerca di quell’appagamento esistenziale che ha caratterizzato tutta la sua vita. Un’esistenza che si riverbera sul suo volto intenso, plasmato dalla salsedine e ambrato dal sole dove il suo sguardo cristallino diviene ancor più luminoso, reso vivace dalla gioia di condurre una vita amata.

La sua vita l’ha vissuta pienamente, aneddoti da raccontare ne avrebbe tanti ma fanno parte solo del suo mondo.

E, con i suoi occhi azzurro ghiaccio,  scruta il mare, questo suo grande amico che non l’ha mai tradita.Tratto da:
https://d.repubblica.it/attualita/2016/05/18/foto/fotografia_pescatrice_centenaria_abruzzo_la_sposa_del_mare_annalisa_marchionna-3090884/1/

https://d.repubblica.it/attualita/2016/05/18/foto/fotografia_pescatrice_centenaria_abruzzo_la_sposa_del_mare_annalisa_marchionna-3090884/1/

Filastrocca: la tristezza del nonno

Quel bacio all’improvviso
scoccato sul mio viso
si, ve lo devo dire, 
mi ha fatto trasalire.

il bacio di un nonnino
incontrato quel mattino, 
vicino casa mia
e nella stessa via.

Andavo a pescare 
con gli amici, ero al mare,

la mamma mi guardava
mentre il mio passo si allontanava.

È durante quel cammino
che ho incontrato il nonnino.
Era magro, abbacchiato,
chissà cosa gli era capitato.

Continuai a camminare
ma da dietro le spalle lo volli guardare,
lo vidi venire avanti
ma i suoi passi erano stanchi.

Tornando a casa a quel bacio pensai,
non aveva senso, perché giammai,
quell’uomo a me sconosciuto,
aveva fatto quel gesto insoluto.

Raccontai allora tutto alla mamma,
che mi delucidò di questo dramma,
il suo figliolo e il suo nipotino
eran partiti quel triste mattino.

Molto lontani dovevano andare,
il lavoro del papà era oltremare;
non era sicuro di poterli ritrovare
e con quel bacio li lasciava andare.

Il blog Tiraccontoaunastoria ha recentemente iniziato una nuova collaborazione con il blog

Marcoscrive, nella sezione dedicata al nuovo progetto Baby Books TuBe, con l’intento di sensibilizzare i bambini sia alla lettura che alla scrittura.

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Una nonna guarda il mare
e il ricordo in mente appare,
lei, al sole a crogiolare
e il suo corpo da osservare.
Pensa al tempo che è volato
e le torna in mente il passato.
Quanti ricordi dentro al mare,
quanti pianti da dimenticare.

Lei da sola sulla spiaggia,
e il mare l’asciugamano bagna,
una lacrima cade giù,
non importa, è solo una in più.
La sua vita è stata bella,
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Filastrocca: non sono un pesce

Mi sono tolta il pannolino
e mi sono infilata il costumino,
ora nel mare mi devo buttare
ma ho paura, non c’è niente da fare.

Il babbo mi guarda con un sorrisetto,
il baffo trema, mi dà uno sberleffo.
Questo mi fa ancora più arrabbiare,
e non mi aiuta di certo ad entrare.

Passa davanti a me un pesciolino,
mi dà uno sguardo, è proprio carino.
Chissà chi gli ha insegnato a nuotare,

eh, la natura, quante cose sa fare.

E noi bambini invece perché,
dobbiamo nuotare, senso non c’è.
Già dobbiamo imparar a camminare,
e la pipì addosso non possiamo più fare.

Se sbagliamo in qualcosa ci sanno sgridare,
siamo piccini, dobbiamo imparare.
Il pesce nuota, la rana salta,

l’uccello vola, la biscia avanza.

Invece io devo imparare a nuotare,
non sono un pesce ma lo devo fare.
Guardo la mamma e poi il papà,
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