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Ernestina Paper, primo medico italiano

Il primo medico donna menzionato nella storia è Ernestina Puritz-Manassé nacque ad Odessa nel 1846 da una famiglia agiata della borghesia commerciale ebraica di origine russa (i Puritz-Manassé).

Ci sono però alcune contraddizioni in quanto non era però di origine italiana. Ernestina non dichiarò il vero cognome al momento dell’iscrizione all’università di Pisa, ma adottò il cognome del marito Giacomo Paper, un avvocato che sposò a Odessa e che, pare, morì a Pietroburgo nel 1881. Si presume avesse anche una figlia. Elisa, nata nel 1875.

Ernestina Puritz si iscrisse alla facoltà di medicina all’Università di Zurigo che frequentò per tre semestri, tra l’8 ottobre del 1870 e il gennaio 1872 e dove, 10 anni prima, si era laureata la ventiquattrenne Nadeschda Suslowa, la prima donna medico europea.

All’università di Zurigo intraprese un percorso universitario che era molto comune per le studentesse russe, in quanto questa università fu la prima ad aprire le porte alle donne.

Nel 1872 Ernestina Puritz si trasferì in Italia dove visse fino alla morte, escluso il periodo 1897-1905 quando fece ritorno a Odessa. Nello stesso anno si iscrisse all’Università di Pisa, dove frequentò la Facoltà di medicina per tre anni, spostandosi poi a Firenze per frequentare l’ultimo biennio di pratica clinica presso il regio Istituto di Studi Superiori di Firenze e dove conseguì il primo livello di laurea nel 1875.

Si trasferì poi a Firenze per ottenere la specializzazione biennale medica presso il Regio Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento.

Nel XIX secolo, l’idea che una dottoressa potesse svolgere la sua attività all’interno degli ospedali pubblici non veniva facilmente accettata e per questo motivo le donne si dedicarono alla libera professione privata, proprio come Ernestina.

Una volta laureata intraprese una carriera professionale, come indica un’inserzione pubblicitaria apparsa nel marzo 1878 sul quotidiano «La Nazione» di Firenze: alla terza pagina, viene citata l’apertura di uno studio medico “per malattie delle donne e dei bambini”.

In quegli anni, la motivazione che portava le donne a laurearsi in medicina era da ricercarsi in una loro naturale predisposizione verso le sofferenze degli ammalati, tuttavia la scelta ricadeva maggiormente in alcuni ambiti della medicina, quali pediatria e ginecologia.

Nel 1886 Ernestina ottenne un incarico pubblico, in quanto la Direzione compartimentale dei telegrafi di Firenze le affidò il compito di effettuare le visite mediche al proprio personale dipendente di sesso femminile.

La battaglia delle donne per praticare la professione medica fu una delle più difficili tra le molte combattute per la parità dei diritti.

Tratto da:
https://it.wikipedia.org/wiki/Ernestina_Paper#:~:text=Ernestina%20Paper%2C%20nata%20Ernestine%20Puritz,Istituto%20di%20Studi%20Superiori%20Fiorentino.

La leggenda della donna foca

Mitica leggenda irlandese, raccontata in più versioni.

Più precisamente si tratta di Selkie, creature mitologiche della mitologia irlandese, islandese, e scozzese che possono trasformarsi da foche a donne nelle notti di luna piena.

Si credeva che le foche fossero persone annegate in mare e che una volta l’anno ritornassero sulla terra, si togliessero la pelle di foca e ritornassero umane per una notte di danze.

Scrivo della versione irlandese, più fantastica, delle Isole Faroe, più precisamente a Mikladalur, isola al Nord dell’Irlanda, un piccolo paesino molto caratteristico e tenuto bene, dove è situata la statua della donna foca.

Un giorno un contadino, che voleva vedere se esistevano veramente le Selkie, si nascose sulla spiaggia per osservare e da lì vide una bellissima donna foca.

Sottrasse il manto della giovane ragazza che, in questo modo, non poté più tornare in mare. Il giovane la costrinse poi a restare con lui e sposarlo, mentre teneva il manto sotto chiave in uno scrigno.

Un giorno, mentre è in mare a pescare, si accorge di non aver portato con sé la chiave dello scrigno e, quando torna a casa, trova che la sua sposa è già fuggita in mare, con i suoi simili.

Da quel giorno il contadino non la vide più, anche se, quando usciva in mare, una foca si aggirava costantemente attorno alla sua barca.

Tratto da:

 

La storia della forchetta

Una giovane donna seppe improvvisamente di avere una malattia terribile e che le restavano solamente tre mesi di vita.

Quindi chiamò il parroco per le sue ultime volontà.

Scelse gli abiti da indossare, la musica, le parole e le canzoni.

Quando finì di parlare con il parroco, lo trattenne per un braccio dicendogli: “C’è un’altra cosa…”“Dica.” rispose gentilmente il parroco. “Questo è importante.Voglio che mi sotterrino con una forchetta nella mano destra!”

Il parroco rimase molto sorpreso. “La cosa la meraviglia, vero?” chiese la giovane donna.“Per essere sincero sono piuttosto perplesso dalla sua richiesta!” esclamò il parroco.

Ed allora iniziò a spiegare il perché al parroco: “Dunque! Mia nonna mi ha raccontato questa storia ed io ho sempre provato a trasmettere questo messaggio a tutti quelli che amo ed hanno bisogno di incoraggiamento.

In tutti i miei anni di partecipazione ad eventi sociali e pranzi ricordo che sempre c’era qualcuno che rivolgendosi a me diceva: “Tenga la sua forchetta!” ed era il momento che preferivo, perché sapevo che qualcosa di meglio sarebbe arrivato, come una torta, una mousse al cioccolato o una torta di mele.

Qualcosa di meraviglioso e di sostanza.”

Quando la gente mi vedrà nella cassa da morto con una forchetta nella mano, voglio che si chieda: “Perché quella forchetta?” ed allora lei potrà rispondere: “Tenete sempre la vostra forchetta in mano perché il meglio deve ancora arrivare!” e dicendo questo, la giovane donna terminò la propria spiegazione.

Il parroco, con le lacrime agli occhi, la strinse forte per darle l’arrivederci, pur sapendo che molto probabilmente non la avrebbe rivista mai più viva.

E pensando inoltre che quella giovane donna aveva un’idea del paradiso migliore sia della sua che di tanta altra gente. Lei sapeva che qualcosa di meglio sarebbe successo.

Ai funerali la gente sfilava davanti alla cassa della giovane donna, dove si potevano notare sia il suo bel vestito che la forchetta nella mano destra.

Tutto ad un tratto il parroco sentì l’attesa domanda: “Perché la forchetta?” e sorrise.

Durante la predica, il parroco raccontò la conversazione avuta con la giovane donna alla vigilia della sua morte e raccontò loro la storia della forchetta dicendo che non riusciva a smettere di pensarci e che da quel momento in poi anche loro, ogni qual volta avessero avuto nella mano una forchetta, si sarebbero dovuti ricordare che il meglio doveva ancora avvenire.

Tratto dal web, autore anonimo

Amelia Aerhart: la leggendaria pilota

Non particolarmente attratta dai viaggi in aereo ma circondata da parenti piloti,  mi ha molto colpito la storia di Amelia Aerhart (nata Amelia Mary Earhart il 24 luglio 1897). Ho avuto modo di vederne il film, dal titolo Amelia. È quasi interamente girato in flashback, cioè  una scena interposta che riporta la narrazione indietro nel tempo dal punto attuale della storia . I flashback sono spesso usati per raccontare eventi accaduti prima della sequenza principale di eventi della storia per riempire un retroscena cruciale.

Earhart è rimasta affascinata dalla vista di un aereo che volava sopra la sua testa nella prateria del Kansas dove è cresciuta.

Quando nel 1920 sale per la prima volta su un aereo, è amore a prima vista. Da lì in avanti studierà volo, diventerà pilota, metterà a segno alcuni importanti record, attraversa gli Stati Uniti senza mai fare scalo, attraversa l’Atlantico dal Canada all’Irlanda del Nord, e infine progetta l’impresa delle imprese: compiere il giro del mondo in aeroplano.

Il viaggio, pianificato a lungo, e con grossi problemi d’attuazione fin dall’inizio, le appare come una sfida tanto difficile quanto eccitante; per questo non si arrende ai primi tentativi falliti miseramente. Poi finalmente la missione. Da donna straordinaria quale era, insieme al suo navigatore, Fred Noonan, nel 1937, parte da Miami, e tocca il SudAmerica, l’Africa, l’India, l’Asia Sudorientale, la Nuova Guinea.

È dopo che è ripartita da qui che, sorvolando il Pacifico, ha l’incidente fatale: rimane senza carburante, probabilmente, e non riesce a mettersi in contatto con la torre di controllo più vicina, ad Howland, per cui se ne perdono le tracce. È il 2 Luglio 1937.

La sua scomparsa ha lasciato tutti sgomenti, anche perché si avvolge di mistero, anche se sembra che i suoi resti siano stati trovati.

La fama di cui si è ammantata questa donna, che ha osato laddove molti uomini non si erano e non si sarebbero mai spinti, rimane immortale, e lei è a tutti gli effetti un’eroina americana.

Mi piace pensare che abbia trascorso gli ultimi suoi anni ad Howland, questo atollo disabitato nell’Oceano Pacifico, a vivere di pesca e di fauna, a godere della bellezza della natura e a vivere alla giornata, lontana da giornalisti e riflettori.

In fin dei conti il suo sogno si era realizzato.

Tratto da:
https://viaggimarilore.wordpress.com/2016/03/08/donne-viaggiatrici/

Colette Rosselli: illustratrice e scrittrice

Colette Rosselli, nata Colette Cacciapuoti, meglio conosciuta come Donna Letizia, nasce a Losanna da una famiglia borghese il 25 maggio 1911 e trascorre l’infanzia tra Firenze e la Versilia.

Di madre inglese e di padre italiano, Colette Rosselli è stata una delle poche illustratrici italiane ad occuparsi di libri per l’infanzia. La sua prima vocazione era verso  un genere particolare di disegno, l’illustrazione di libri per bambini.

Colette è stata una scrittrice, giornalista, illustratrice e pittrice italiana. È nota soprattutto per la seguita rubrica di bon ton, Il saper vivere, che ha tenuto prima su Grazia e in seguito su Gente.

Aveva ricevuto un’educazione superiore, sposò Raffaello Rosselli, cugino dei fratelli antifascisti assassinati in Francia, all’età di 19 anni e aveva avuto una figlia. Si separerà dal lui nel 1940.

Come illustratrice aveva iniziato a pubblicare i suoi disegni a New York per le riviste Harper’s Bazaar, Mademoiselle e Vogue, illustrando anche libri per bambini, alcuni dei quali scritti da lei stessa

Il primo libro di Susanna, scritto per la figlia, è pubblicato durante la guerra con lo pseudonimo Nicoletta, e narra le vicende di una bambina, un cagnetto e un uccellino. Segue Il secondo libro di Susanna.

Per Mondadori pubblica in seguito altri volumi, tra i quali ricordiamo Prime rime, Collolungo, Questa è Margherita e Il Cavaliere Dodipetto.

Stanca di essere l’illustratrice più sottopagata, negli anni sessanta cessa l’attività di illustratrice per l’infanzia abbandonando la Mondadori in favore di altri editori per i quali scriverà soprattutto libri di galateo e di memorie.

Colette era una bella signora, elegante e raffinata, disegnatrice e giornalista e, non più giovanissima, divenne la moglie di un importante giornalista italiano: Indro Montanelli. Ebbero una lunghissima relazione sfociata nel matrimonio solo nel 1974, dopo il divorzio di lui dalla prima moglie.

Un matrimonio molto particolare: lei a Roma nella sua casa di Piazza Navona, lui a Milano, uniti dall’amore per la reciproca indipendenza, la riservatezza e il desiderio di preservare la loro intimità di fronte ai pettegolezzi. Vicino a Firenze, a Fucecchio, città natale di Montanelli, nel palazzo della Fondazione Montanelli Bassi sono stati ricostruiti esattamente come erano, per volontà e lascito dello stesso Montanelli, i suoi due studi di Milano e Roma con tutti gli arredi, compresi i libri, e qui si trovano anche tutti gli scritti, i libri, le dediche e altri cimeli della stessa Colette.

Le illustrazioni e la pittura resteranno la sua passione e nel corso degli anni i suoi quadri vennero esposti in importanti gallerie.

Nel gennaio 1996 viene colpita da un ictus, in seguito al quale muore il 9 marzo successivo nella sua casa romana a piazza Navona.

 

Tratto da:

http://sebastianozanetello.blogspot.com/2016/03/colette-rosselli-ovvero-prime-rime-per.html

https://blog.libero.it/laviaggiatrice/10955965.html

Donna

Donna, con il tuo sguardo spento,

attiri i cuori in un breve momento.

Dalla vita familiare non hai tratto niente

per questo forse il tuo sguardo era assente.

Tenebrosa vai per la città,

in cerca di amore da chi amore non dà.

Dalla vita hai avuto tutto

o forse niente, che importa,

forse questo ti ha reso così potente.

Nannarella ti avevano chiamata,

non eri bella ma la tua aria sofisticata

dava una luce al tuo sguardo,

alla persona, e la gente ti ammirava

forse perché eri “bona”!

Come dicevi tu sei nata attrice,

ma la gente questo ruolo come lo definisce?

Bellezza? Savoir fair? Temperamento

o solamente mettersi in gioco,

e in un momento dire a te stessa

e agli altri “Che ci sto a fare

in questo mondo, sto su un palco

ma non mi appartiene, la mia vita

messa in gioco. Ma mi conviene?

Devo dare tutta me stessa a un ruolo,

un me sbagliato, non sono io

quella che ho interpretato.

Io sono Anna, donna che ha sofferto

nella sua vita, senza amore, senza abbracci

ma la storia non è finita.

Sono una donna che ha amato tanto,

sono una donna, e per me questo è un vanto”!

 

 

Mani di donna

Riflettendo sul tema “Mani”, per una serata dedicata alle donne, mi sono detta che se queste mie mani potessero raccontare ciò che hanno fatto e toccato non basterebbe un giorno per descrivere il tutto.

Riflettendoci sopra ho capito che sono state, nel corso di tutti questi anni, la cosa più importante della mia vita. Nessun altra parte del corpo le eguaglia, le mani sono il primo strumento del genere umano, comandate dal nostro cervello e dalla nostra volontà.

Ho pensato allora a queste mie mani, ormai stanche dalle troppe cose fatte nel corso degli anni. Se raccontassi tutti i lavori fatti la serata si allungherebbe troppo, allora mi soffermo sui tre lavori più importanti della mia vita, lavori che ho amato e che mi hanno accompagnato nel corso degli anni.

Queste mie mani, ancora acerbe, insicure, deboli,  hanno spinto con forza e precisione per tanti anni macchine da maglieria pesanti e arrugginite, ma contemporaneamente si “ammorbidivano” per ricamare sulla lana, con precisione e delicatezza. Dal niente formavano immagini, parole, simboli. Queste mie mani hanno creato armoniose figure con il filet, lavoro semplice ma preciso. 

Queste mie mani hanno tenuto al caldo, nel  loro tepore, bimbi appena nati, sentendo battere il loro cuore per la prima volta fuori dal grembo materno. Hanno lavato con delicatezza e amore piccoli esseri venuti al mondo. Hanno medicato, sorretto, fatto iniezioni, gessi; hanno consolato e asciugato lacrime, svolgendo per tanti anni , uno dei lavori più belli al mondo, l’Infermiera. Hanno stretto, con delicatezza e forza mani deboli, mani rugose, mani deformi, mani tremolanti, mani cianotiche, mani scarne, mani fredde. Queste mie mani hanno vestito a festa, con delicatezza e commozione , giovani e anziani, nell’ultimo viaggio in questo mondo, perché una volta questo lavoro era compito dell’infermiera.

Poi sono passate da candide e sterili, a mani sporche di terra, con unghie irriconoscibili, nel nuovo lavoro ventennale di vivaismo. Hanno aiutato la natura, il mondo vegetale ad ‘esplodere’, a dare alla luce, a potenziare un piccolo seme in un grande albero.

Sapere che il lavoro di queste mie mani è in tutta Italia e all’estero, che molte piante tropicali fatte crescere da me, usando queste mani, sono distribuite ovunque, mi rallegra il cuore. Una parte di me, del mio lavoro, cresce e porta felicità, colore, ombra, frutti, ecc…

E’ un qualcosa che non avrà mai fine e questo si propagherà sempre di più. Tutto questo per opera di due piccole mani. Con queste emozioni che descrivo un piccolo passo che avevo scritto per una rivista, all’inizio della mia attività di vivaista.

“Un nuovo essere si affaccia alla vita e io, di soppiatto, voglio subito vedere come è, come è fatto,  come è cresciuto. Sono ansiosa come un bimbo che a Natale trova sotto l’albero il suo regalo e tenta di sbirciare e toccare per capire cosa c’è dentro. Sì, la nascita di un seme a me riporta tutto questo e la gioia di vederlo spuntare da sotto il suo “giaciglio”, di vedere la terra che era stata ben pressata rigonfia, quasi come se questo piccolo essere  boccheggiasse e cercasse di rompere quello strato compatto che non gli permette di respirare, di assaporare aria pura, di vedere come è fatto il mondo, sono cose indescrivibili per me. E do aria a questo nuovo essere, tolgo con cautela il “telo” che lo ricopre e così l’aiuto a trovare aria e luce, importanti per la sua crescita.

Il tempo mi riporta indietro, quando, da giovane, in Ospedale, vedevo nascere una nuova vita e non posso dire di provare la stessa gioia, ma è sempre qualcosa di vivo che nasce, che si muove. E allora guardo, giorno dopo giorno, il suo sviluppo, il suo portamento, la sua capacità di sopravvivere con poco. Ecco, questo è quello che provo quando al mattino entro nella mia piccola nursery e vedo tutte le nascite dell’anno, allineate, etichettate, assemblate categoria per categoria, e, scusate se mi ripeto, ma mi sembra di ritornare giovane, quando entravo e cercavo tra tanti il bimbo che avevo visto nascere. Malinconia del passato? No, gioia del presente!!!”.

Ora queste mie mani ormai stanche, ma sempre molto attive, scrivono, pitturano, strimpellano la chitarra, ma soprattutto fanno la cosa più bella del mondo: abbracciano, cambiano pannolini, danno il biberon, coccolano, cullano, sfogliano libri.

Queste mie mani sono diventate “Mani di nonna!”

nonni