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La casetta nel bosco

C’era una volta un nonno, dalla lunga barba, che viveva in un bosco. La sua casetta era piccolissima, fatta di legno e tutti gli abitanti della foresta erano soliti passare di lì per salutarlo o perché avevano bisogno del suo aiuto.

Chi doveva farsi togliere una spina nella zampetta, chi aveva male a un dente, chi aveva mal di pancia.

Il nonno li conosceva uno per uno,  e per tutti aveva un rimedio.

Un giorno bussarono alla sua porta alcuni gnomi,  gli chiesero di seguirlo perché avevano bisogno del suo aiuto. In pochi minuti era pronto per partire, aveva messo nel vecchio zaino tutto quello che poteva servire per curare qualsiasi malanno.

Non chiese nulla agli gnomi, non era la prima volta che li aiutava: un animale preso in una trappola, un altro scivolato in una buca, un uccellino caduto dal ramo con una ala spezzata…

Questi erano alcuni degli interventi che aveva dovuto fare. Quindi pensò che anche questa volta si sarebbe trattato di qualcosa di simile.

Dopo aver attraversato vari ruscelli e alcuni sentieri gli gnomi si fermarono. Il nonno non credeva ai propri occhi, davanti a lui, sdraiata in un tappeto di foglie, c’era una bimba bellissima , dai capelli rossi.

Dormiva e il nonno rimase estasiato da quel fagottino tenero. La prese delicatamente in braccio e, prima che giungesse la notte, la bimba era già nella casetta del nonno. La rifocillò con del buon latte caldo di capra e dopo poco tempo questa  si addormentò.

Chi era questo essere stupendo, come si chiamava, chi l’aveva portata nel bosco? Queste, insieme ad altre mille domande affluirono nella sua mente.

Più volte, parlando con gli amici gnomi, aveva confidato loro che si sentiva solo, che avrebbe voluto un po’ di compagnia, soprattutto in inverno, dove molti animali andavano in letargo per cui il suo “lavoro” era ridotto.

Capì che gli gnomi, avendo poteri magici, in cambio dei suoi servizi giornalieri, avevano voluto fargli un dono meraviglioso.

Il nonno e la bimba, che chiamò Arianna, divennero inseparabili. Questa  conquistò il cuore di tutti gli animali del bosco per la sua gentilezza, disponibilità e bontà.

Il nonno le insegnò a curare tutti i problemi dei suoi piccoli e grandi amici.

Arianna crebbe e diventò una splendida ragazza, dai lunghi capelli lisci e morbidi.

Un giorno un giovane cacciatore bussò alla porta del nonno  perché si era procurato una ferita alla gamba, venne curato da Arianna,  ma rimase affascinato dalla sua bellezza e gentilezza.

Dopo poco tempo si sposarono invitando tutti gli animali del bosco.

E rimasero per sempre a vivere nel bosco, in una capanna e vissero per sempre felici e contenti.

Chris Dunn: illustratore

Questa volta vorrei scrivere di un illustratore dei giorni nostri. Chris Dunn. Perché?

Vedendo con le nipotine i nuovi cartoni animati mi sono resa conto che le fisionomie, in riferimento al periodo in cui li guardavo con le figlie. Premetto che non sono mai stata una amante di questo genere, ma non posso dimenticare i grandi capolavori della Walt Disney.

La dolcezza dei cani dalmata della Carica dei 101, l’indimenticabile Biancaneve e 7 nani, di cui conosciamo i nomi a memoria, Bambi, che ha fatto piangere grandi e piccini, Cenerentola, che ricordiamo ad Halloween, con la sua carrozza a forma di zucca, Alice nel paese delle meraviglie, nel suo mondo magico, e poi Pinocchio, Dumbo, Le avventure di Peter (Peter Pan), Lilli il vagabondo e tantissimi altri…

Le sembianze dei personaggi di questi capolavori erano aggraziate, distinguibili, indimenticabili.

I cartoni di oggi sono totalmente diversi. Tutto accelerato e di una sonorità allarmante. Diciamo che non rilassano e moltissime volte non hanno una trama o un filo logico. Ma è il mondo che è cambiato!

Ritornando al nostro illustratore, mi ha colpito perché mi sembra un ragazzo di altri tempi, un Beatrix Potter maschile.

Questo ragazzo britannico ha ottenuto una laurea in illustrazione nel 2008 e ha iniziato la sua carriera come ritrattista e paesaggista, ma non era soddisfatto verso questo genere. Amante dell’acquerello ha iniziato a partecipare a concorsi nell’arte figurativa, vincendo dei premi. Si è dato da fare per farsi conoscere e per il confronto con altri artisti dell’acquerello.

Pochi anni dopo, nel 2013, è arrivata la sua grande occasione. Una grande commissione per la rinomata Galerie Daniel Maghen, a Parigi. Doveva dipingere una serie di acquerelli basata su The Wind in the Willows, di Kenneth Grahame. Ha iniziato ad esplorare il mondo alla periferia della riva del fiume citato  nel libro suddetto. Ha iniziato così a illustrare un mondo immaginario fatto di animali dei boschi che interagiscono a casa, sugli alberi, in città, sulla costa, a scuola e persino nell’aria.  

Dopo vari altri successi la pandemia ha sospeso tutto, ma è riuscito  a portare avanti degli ordini in corso.

Finita la pandemia, nel marzo 2021 ha ultimato anche  di illustrare The Night Before Christmas e un libro di filastrocche pubblicate in una raffinata edizione limitata per collezionisti.

Tratto da:
https://www.chris-dunn.co.uk/bio

https://www.chris-dunn.co.uk/

La vecchina e il lupo

In mezzo a un bosco, in una piccola casetta di legno, viveva, da tantissimi anni, una vecchina di nome Magò. Ella era conosciuta da tutti gli animali per le sue virtù magiche, sapeva guarire tutti i malanni.

Un giorno bussò da lei un coniglio che aveva male a  un orecchio, Magò andò nel retro della casetta, dove coltivava un piccolissimo orto con tanti piccoli cespugli e erbe, adatte a ogni malattia o dolore. Prese due foglie da un cespuglio, 1 foglia da un altro, 1 mazzetto di erba, lo depose nel suo grande grembiule e fece bollire il tutto. Una volta raffreddato depose il tutto in un panno pulito e lo mise sull’orecchio del coniglio. Dopo pochi minuti questi non ebbe più dolore e se ne andò ringraziandola con un bacio. Dopo di lui venne una volpe perché aveva male a un dente e anche per lei, con altre foglie, preparò un decotto, glielo fece bere e anche lei guarì.

Tutto il giorno andò avanti così, gli animaletti si mettevano in coda: chi aveva un occhio arrossato, chi un graffio, chi mal di pancia, chi prurito, ecc. Per tutti aveva un rimedio e una parola gentile.  

Ma una sera arrivò un lupo, aveva una zampina rotta perché l’aveva lasciata in una tagliola. Il lupo aveva molto male e non riusciva a camminare, così Magò lo fece stendere sul suo divano, fece un impacco di foglie e fango, lo mise sulla zampa e lo fasciò. Il povero lupo non poteva andare via subito, ci volevano alcuni giorni perché guarisse. Ogni giorno gli cambiava la fasciatura e l’impacco e pian piano la zampa guarì.

Ma Magò questa volta era triste, il lupo le aveva fatto compagnia per tanti giorni e adesso lei si sentiva sola, per la prima volta. Il lupo andò nei giorni seguenti a trovarla, perché si era affezionato a lei e le doveva molto ma quando andava via, si accorgeva del suo malumore.

Una splendida mattina di sole Magò sentì del rumore fuori dalla sua porta, credendo fosse un animale ferito andò subito ad aprire e cosa vide? Un cucciolo di lupo, bellissimo, dono del lupo che lei aveva curato con tanto amore.  

Inutile dire che la vecchina da quel giorno fu molto felice e si dedicò ancora di più ad aiutare gli animali del bosco.

Adesso non era più sola.

Iniziativa filastrocche

Siamo giunti alla premiazione dell’ultima filastrocca di quest’anno, cioè quella di Dicembre, con la collaborazione tra il mio blog e il forum Graficamia.

La vincitrice è Paola con il lavoro abbinato alla filastrocca:

Babbo Natale e la casa nel bosco

In una piccola casa nel bosco
viveva un uomo, era un po’ orso,
non gli piaceva molto parlare
ma tutto il giorno si dava da fare.

Tagliava la legna, curava gli uccelli,
amava molto i pipistrelli,
erano brutti, nessun li voleva,
forse per questo ad esso piacevan.

Un giorno al caldo, nella casetta,
mentre di fuori c’era tempesta,
si mise a pensare: “Che vita che faccio,
sono qui solo, con questo tempaccio.

Io sono qui, nella casetta,
sono al caldo ma nessuno mi aspetta,
lo so, non amo molto parlare,
ma se insisto ce la posso fare”.

Chiamò a raccolta i suoi amici animali,
doveva lasciarli e andar dagli umani,
solo così poteva trovare
un nuovo amico con cui conversare.

Qualcosa di bello doveva portargli,
qualcosa di raro doveva fargli,
prese del legno e cominciò a lavorare,
fece un carretto, poteva bastare.

Ma fece ancora tanti altri oggetti,
venivano bene, eran perfetti.
Un cavallino, la macchinina,
anche un pupazzo e la bambolina.

E mise tutto dentro un sacco,
pesava tanto, era proprio fiacco,
chiamò allora degli amichetti,
erano gnomi, piccoletti.

Avete capito di chi parliamo,
e che ogni anno noi festeggiamo?
È Babbo Natale, che ama i bambini
e porta i doni anche ai birichini.

Lo scoiattolo Coda mozza

Sono rimasta basita quando ieri la mia nipotina, mentre la preparavo per andare all’asilo, mi ha chiesto se le raccontavo una storia! È stata la prima volta che mi ha fatto questa richiesta, a differenza della nipotina più grande. Logicamente questo mi ha reso felice e alla domanda quale dovesse essere il personaggio mi ha risposto velocemente: uno scoiattolo.

È nata così la favola che segue. 
C’era una volta uno scoiattolo molto triste perché, a differenza di tutti gli altri, compresi i suoi fratelli, aveva una coda cortissima, come se fosse stata mozzata a metà. Per questo era sempre deriso dagli altri animali del bosco e aveva pochi amici in quanto si isolava spesso, in seguito al suo problema.

Un giorno andò dalla sua mamma e gli chiese:

«Mamma, io voglio essere come tutti. Perché la mia coda non cresce più? Non mi piace e tutti mi prendono in giro per questo.»

«Figlio mio…» disse la mamma «lo sai che la tua bellissima coda alcuni mesi fa è rimasta incastrata tra i rami dell’albero da cui saltavi ogni giorno. Devi rassegnarti, hai un bellissimo pelo morbido e lucente, due stupendi occhi, delle forti zampette, sei molto agile e simpatico. Devi vedere quello che possiedi non quello che non hai.»

Il piccolo scoiattolo si rassegnò: la sua mamma proprio non lo capiva. Nessuno riusciva a comprendere il malessere che aveva dentro. I suoi numerosi fratelli erano orgogliosi della loro coda mentre lui si vergognava di farla vedere.

Si stava avvicinando il Natale e tutti gli animali del bosco avevano parlato con i loro amici gnomi perché comunicassero a Babbo Natale il regalo desiderato ma coda mozza, come lo soprannominavano tutti, non aveva richieste da fare. Nulla gli interessava.

Lo gnomo incaricato di portare tutte le richieste di doni si accorse che quest’anno, per la prima volta, il suo amico scoiattolo non era andato da lui come sempre aveva fatto.

Ma le voci nel bosco girano veloci e la storia di coda mozza la conoscevano tutti. Come poteva fare? La cosa più ovvia era parlarne con Babbo Natale che sicuramente avrebbe trovato una soluzione.

Era giunta la notte del Santo Natale e tutti gli animali andarono nelle loro tane appena si fece buio, in attesa di vedere il regalo richiesto alle prime luci dell’alba.

Il mattino dopo, il giorno di Natale, il bosco si animò velocemente. Tutti gli animali, grandi e piccoli, trovarono i loro doni: castagne, noci, bucce di banane, funghi, semi ma anche cappelli, bastoni, scope, ecc. Le richieste inviate erano varie.

Tutti si radunarono per fare festa ma coda mozza non uscì dal suo nido nell’albero. Era troppo triste per festeggiare. Fino a quando un pacchettino dal fiocco rosso attirò il suo sguardo. Cosa poteva contenere? Lui non aveva chiesto nulla. La curiosità prevalse per cui scartò il pacco e… sorpresa.

Conteneva una coda! Ogni animale aveva donato alcuni dei suoi peli perché Babbo Natale potesse costruirgliene una.

Era troppo bello ed eccitante. Inserì l’elastico della nuova coda nel suo moncone e voilà, finalmente si sentiva di nuovo uno scoiattolo, e addirittura super dotato.

Saltò da un albero all’altro, saltellando in mezzo a tutti i suoi amici. Cosa poteva desiderare di più? Sentiva il calore della loro amicizia.

Era di nuovo, finalmente, felice! 

Le storie dei ragazzi selvaggi

Più volte ho letto di ragazzi trovati nella foreste, se ne contano un centinaio negli ultimi secoli.

Leggendo un dettagliato articolo su Focus riguardo questo problema mi è tornato alla  mente il film, tratto da una storia vera, Nell, interpretato magnificamente da Jodie Foster. Tratta di una ragazza che ha vissuto sempre nel nord Caroline, con la madre colpita da ictus. La ragazza ha scelto di continuare la sua vita nel bosco, ambiente in cui lei apparteneva.  

Con questo siamo portati a pensare che già da piccolissimi abbiamo la percezione di sopravvivenza. Il nutrimento, indispensabile per tutti, umani e animali, è già un elemento acquisito dai primi anni. In un ambiente selvatico come la foresta o la giungla si ci nutre di ciò che la natura offre in quel determinato ambiente: foglie, radici, bacche, uova di uccelli, piccoli animali. Oppure si può presumere che siano stati “allevati” nel far questo da altri mammiferi.

“Stando in contatto solo visivo con loro, un bambino può individuare fonti d’acqua e di cibo e ripararsi in luoghi caldi e sicuri”, dice Angelo Tartabini, docente di Psicologia evoluzionistica all’Università di Parma.

La teoria dell’imprinting, che procurò il premio Nobel a Konrad Lorenz, sostiene infatti che un giovane essere vivente impara a riconoscersi in una specie piuttosto che in un’altra a partire dal legame con una figura di riferimento (la chioccia per i pulcini, la lupa per il lupacchiotti, eccetera). Dopotutto i bambini, cioè i cuccioli di uomo, non sono troppo diversi da quelli delle scimmie e come gli altri animali possono anche subire un imprinting da parte della specie che li ha adottati, finendo per assomigliare ai nuovi “genitori”. Per questo nella letteratura si parla di bambini lupo, bambini orso, bambini gazzella o bambini scimmia.

Il primo caso di ragazzo selvaggio risale al 1344, divulgato dal grande naturalista Carlo Linneo e successivamente dal filosofo francese Jean Jaques Rousseau. Alcuni cacciatori ritrovarono tra i lupi un bambino di circa 10 anni e lo portarono dal Principe d’Assia. Ma il caso che fece più clamore risale al 1798, quando fu catturato nei boschi francesi dell’Aveyron un ragazzino selvaggio di 12 anni: completamente nudo, mordeva e graffiava e, chiuso in una stanza, andava avanti e indietro come un animale in gabbia. Affidato a una vedova e poi a un naturalista, per ordine del ministero dell’Interno fu portato a Parigi e rinchiuso nell’Istituto per sordomuti, dove venne prelevato dal medico Jean Itard che ne tentò il recupero comportamentale e linguistico. Egli segnò su un diario tutti i progressi fatti dal ragazzo nel corso di 5 anni.

Progressi limitati, però, nonostante il costante aiuto e presenza. Victor imparò a comunicare ma con una sorta di pantomime (per esempio, se voleva uscire portava il cappotto e il cappello al suo tutore), ma non riuscì mai a parlare. Cominciò a scrivere diverse parole, verbi e aggettivi (gli fu insegnato prima ad accoppiare oggetti ai disegni che li mostravano, poi parole scritte ai disegni), ma mai imparò a usare i termini in modo astratto, cioè applicando le parole in un discorso in assenza degli oggetti o delle emozioni a cui si riferivano.
Morì a Parigi a 40 anni di età.Immagine correlata
Un bambino aveva due anni quando fu adottato da una leopardessa. Tre anni più tardi, un cacciatore uccise la leopardessa e trovò tre cuccioli, uno dei quali era il bambino, che ormai aveva 5 anni. Fu soprannominato Il bambino leopardo. Era il 1912. Fu restituito alla sua famiglia in un piccolo villaggio in India. La prima volta che fu catturato riusciva a correre a quattro zampe veloce come un uomo adulto in posizione eretta. Le sue ginocchia erano coperte da duri calli, le dita dei piedi erano piegate quasi ad angolo retto, e le mani, unghie e polpastrelli erano coperti da una pelle molto dura. Mordeva e aggrediva tutti quelli che gli si avvicinavano, e catturava e mangiava gli uccelli del villaggio, crudi. Non riusciva a parlare, pronunciava solo grugniti e ringhi.

Più tardi imparò a parlare e a camminare in posizione più eretta. Purtroppo divenne gradualmente cieco a causa della cataratta. Tuttavia, questo non fu causato dalle sue esperienze nella giungla, ma era una malattia comune nella sua famiglia.
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Un altro caso fu documentato dal reverendo Joseph Singh, missionario di un orfanotrofio di Midnapore, in India. Nel 1920 il reverendo volle verificare alcune segnalazioni di contadini che riferivano di aver visto due bimbe fra i lupi. Si appostò su un albero fuori da una piccola grotta, dove si sospettava si rifugiassero questi animali. Vide uscire i lupi e subito dopo entrò nella tana, dove trovò due bambine che camminavano a quattro zampe. Una aveva circa 8 anni, l’altra solo un anno e mezzo. Non si sa se fossero sorelle o meno ma si presume siano state abbandonate in periodi diversi.
Queste bimbe, Amala e Kamala,  hanno attirato l’attenzione dei lupi che vivevano in questa zona che ebbero un gesto di protezione continua nei loro confronti. Esse mangiavano solo latte e carne cruda non utilizzando le mani che invece usavano, insieme ai piedi,  per spostarsi.
Amala, la più piccola, morì di nefrite mente Kamala visse ancora otto anni. Imparò a pronunciare 50 parole, a comunicare con i gesti, a ridere e a giocare con altri bambini.

Nel 1933, in una foresta del Salvador, venne trovato un bambino di 5 anni, Jorge Ramirez.  Nudo, capelli lunghi, postura ricurva, vocalizzazioni da scimmia. Battezzato con il nome di Tarzancito, imparò a ripetere alcune parole senza però capirne il significato. Poi, vivendo nella comunità umana, cominciò a lavarsi, a vestirsi a scrivere e a leggere alcune parole, a fare anche semplici conti.

Nel 1992 un ragazzino di circa 15 anni venne avvistato nei pressi di una mandria di bufali nel Parco nazionale Marahouè, in Costa d’Avorio. Non parlava e aveva ginocchia callose, segno di andatura a carponi. «Faceva alcuni versi, emettendo i vocalizzi degli scimpanzé» raccontò il capo dei ranger del Parco. «Non è un demente» assicurò l’assistente sociale dell’ospedale di Boufalé, dove fu ricoverato. Di lui però si persero presto le tracce: secondo un giornalista della televisione nazionale ivoriana, che seguì il caso, fu nascosto da presunti parenti al preciso scopo di preservare i suoi poteri magici, che gli derivavano dalla vicinanza alla natura selvaggia e agli spiriti.

Tra gli ultimi casi segnalati (di attendibilità non chiara) ci sono quelli di John Sebunya in Uganda e di Bello in Nigeria. Il primo scappò di casa quando vide il padre uccidere sua madre a circa 4 anni di età, sopravvisse nella foresta e fu catturato nel 1991 mentre era con un gruppo di cercopitechi verdi che tentarono di difenderlo. Bello fu invece trovato piccolissimo (circa 3 anni) nella foresta di Alore, in Nigeria, nel 1996. Mostrava i comportamenti degli scimpanzé della zona, facendo pensare di essere stato adottato da loro. Nonostante gli sforzi degli educatori, non ha mai imparato a parlare ed è morto nel 2005.
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Tra i ragazzi selvaggi di oggi c’è Ivan Mishukov, soldato dell’esercito russo di 27 anni. Un’infanzia difficile: tra i 4 e i 6 anni ha vissuto con un branco di cani randagi. Si è conquistato la loro fiducia con del cibo e, in cambio, ha ottenuto protezione e calore di notte. Ivan è scappato di casa per sfuggire agli abusi del compagno alcolizzato della madre. Così come l’ucraina Oxana Malaya, oggi trentacinquenne. Entrambi hanno vissuto la tenera età tra i cani randagi e quando sono stati ritrovati camminavano carponi, non parlavano e ringhiavano. Sono riusciti però a superare il passato e a imparare la lingua del loro paese, dimostrandosi individui perfettamente sani, che sono riusciti a integrarsi nella società. 
Anche Madina ha vissuto con i cani dalla nascita fino all’età di 3 anni, condividendo il cibo e dormendo con loro durante il freddo inverno. Quando gli assistenti sociali la trovarono nel 2013, era nuda, camminava a quattro zampe. Il padre di Madina se ne era andato poco dopo la sua nascita. Sua madre, di 23 anni, si era data all’alcol. Era spesso troppo ubriaca per prendersi cura di sua figlia e spesso spariva. Sua madre alcolizzata si sedeva a tavola per mangiare mentre la figlia rosicchiava le ossa sul pavimento con i cani. Così i cani sono diventati i suoi unici amici.

I medici hanno riferito che Madina è mentalmente e fisicamente sana nonostante il suo calvario. C’è una buona probabilità che avrà una vita normale, dopo che avrà imparato a parlare in maniera simile ad un bambino della sua età.
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A questi casi si sono poi aggiunti anche quelli di Rochom P’ngieng, una ragazza cambogiana ritrovata nel 2007 dopo aver vissuto alcuni anni nella giungla (si era persa all’età di 8 anni) e il cosiddetto bird-boy, un bambino di sette anni scoperto nel 2008 nella campagna russa e cresciuto un una casa di due stanze in cui viveva insieme a decine di uccellini in gabbia. Era incapace di parlare: emetteva solo cinguettii.
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Sujit Kumar, denominato l’uomo-pollo delle Fiji. Il nonno non sapendo cosa fare di lui dopo la morte dei genitori, lo ha tenuto rinchiuso in un pollaio dai tre agli otto anni, o che una volta “salvato” ne ha passati ventiquattro legato al letto di un ospizio.Marcos Rodríguez Pantoja, oggi settantaduenne, lamenta l’eccessivo rumore e gli odori nauseabondi da quando vive tra gli uomini. Per 12 anni ha vissuto con i lupi tra le montagne. Orfano di madre, è stato venduto dal padre a un montanaro e alla morte di quest’ultimo è rimasto solo tra le montagne della Sierra Morena. I pochi segreti che aveva appreso dal montanaro però gli hanno salvato la vita: ha imparato a riconoscere erbe, bacche e funghi commestibili e a costruire trappole per catturare la selvaggina. Inoltre, a quanto dice, in poco tempo è riuscito a farsi accettare da un branco di lupi. Il suo racconto sulla vicenda è quantomeno fantasioso, ma in effetti ci sono foto e video che testimoniano il rapporto speciale di quest’uomo con dei lupi, richiamati attraverso una perfetta tecnica di wolf-howling.

Marina Chapman, oggi è una signora di circa 60 anni e anche la sua storia è incredibile. Marina fu rapita, attorno ai cinque anni, forse in Colombia. Abbandonata nella giungla, visse con una famiglia di scimmie cappuccino per circa cinque anni. Si nutriva di bacche, radici e banane, dormiva sugli alberi e camminava a quattro zampe, e quando fu ritrovata, da un gruppo di cacciatori, non riusciva più ad esprimersi con un linguaggio umano.

Quelli che potevano essere i suoi salvatori, in realtà la trattarono come una delle loro prede: la vendettero in un bordello di una città colombiana, in cambio di un pappagallo raro. Lei però riuscì a fuggire e a vivere di espedienti per diversi anni, finché una famiglia la raccolse dalla strada, e la fece diventare la serva di casa. Nel 1977 si trasferirono tutti in Gran Bretagna, dove la donna ebbe la possibilità di formare una famiglia propria. Insieme con la figlia più giovane ha scritto un libro sulla sua esperienza con le scimmie: “The Girl with No Name”, che in Italia è uscito con il titolo La Figlia della Giungla.Storie di 'ragazzi selvaggi' 4

Tutto questo ci fa capire che la voglia di sopravvivere è insita in ognuno di noi, non importa come e per quanto tempo ma dobbiamo aggrapparci a ciò che abbiamo e sfruttarlo al meglio. Non importa chi ci protegge, chi ci nutre, il nostro destino è nelle loro mani (o zampe come in questi casi). Questi esseri che noi denominiamo animali, in modo quasi dispregiativo, si sono presi cura di piccoli bambini allevandoli e nutrendoli come se li avessero concepiti loro.
A loro modo li hanno amati e forse sono stati ricambiati. Chissà!

Tratto da:
https://www.focus.it/ambiente/animali/le-vere-storie-dei-ragazzi-selvaggi

https://www.vanillamagazine.it/5-drammatiche-storie-vere-di-bambini-cresciuti con gli animali

https://www.keblog.it/bambini-ferini-animali-selvatici-fotojuliafullertonebatten

Le foto sono della fotografa londinese Julia Fullerton Batten

Il blog Tiraccontounastoria ha recentemente iniziato una nuova collaborazione con il blog

Marcoscrive, nella sezione dedicata al nuovo progetto Baby Books TuBe, con l’intento di sensibilizzare i bambini sia alla lettura che alla scrittura.