Rosa Parks: la madre del movimento per i diritti civili

Ho finito di leggere un testo di psicologia di Luca Mazzucchelli, che non ha bisogno di pubblicità per farsi conoscere, avendo fatto molti video che sono online su YouTube.

Luca è uno psicoterapeuta e imprenditore che ha trovato nella società il suo spazio, dopo il classico rodaggio e, ammettiamolo, anche con la fortuna di aver qualche incontro importante. Ma non si è mai tirato indietro e ha avuto coraggio di affrontare molte cose.

Nel libro si parla proprio di questo coraggio che tutti dovremmo avere per poter andare avanti, per poter arrivare a essere felici. Cita anche alcuni personaggi che hanno avuto il coraggio di fare alcune scelte e sono stati premiati.

Ma non è di Luca che vorrei parlarvi, ma di Rosa Parks, che egli cita appunto nel libro, quando tratta l’argomento sul coraggio.

Rosa Parks nasce a Tuskegee, Alabama (Stati Uniti) nel 1913. A diciannove anni  sposa Raymond Parks, barbiere di carnagione bianca, che faceva parte del movimento per i diritti civili. Dividendosi tra il lavoro di sarta e l’attivismo politico al fianco del consorte, si distinse per il supporto offerto a nove ragazzi afroamericani (gli Scottsboro Boys), che dopo una rissa su un treno vengono accusati ingiustamente di aver usato violenza su due ragazze bianche, a cui la Parks mostrerà supporto emotivo e concreto, partecipando e organizzando diverse iniziative a favore della loro liberazione.

Ma l’avvenimento più eclatante è avvenuto Il 1 Dicembre 1955, a Montgomery, Alabama. Terminata la giornata lavorativa, la quarantaduenne Rosa Parks, di pelle nera e di professione sarta, prende l’autobus 2857, diretta a casa. Si siede in una fila centrale, ma quando dopo poche fermate sale un passeggero bianco, il conducente le chiede di alzarsi per lasciargli il posto, come impongono le regole.

Rosa conosce perfettamente queste regole: i neri siedono dietro, i bianchi davanti, mentre i posti centrali sono misti e si possono usare solo se tutti gli altri sono occupati, ma la precedenza spetta sempre ai bianchi. «Non stavolta», pensa Rosa, e senza rifletterci troppo risponde che «no», non intende alzarsi. A quel punto, il guidatore del mezzo chiamò la polizia che arrestò la donna.

La Parks fu quindi incarcerata con l’accusa di “condotta impropria”, ma poche ore dopo l’accaduto venne scarcerata grazie a Clifford Durr, un avvocato bianco e antirazzista, da sempre impegnato nella battaglia per i diritti civili della comunità afroamericana, che decise di pagare la cauzione alla donna.

«Dicono sempre che non ho ceduto il posto perché ero stanca, ma non è vero. Non ero stanca fisicamente, non più di quanto lo fossi di solito alla fine di una giornata di lavoro… No, l’unica cosa di cui ero stanca era subire»

Quel rifiuto la trasforma all’improvviso in un’eroina dei diritti dei neri.

Fu citata come “La madre del movimento per i diritti civili”.  


L’autobus citato, ora esposto all’Henry Ford Museum

 

Tratto da:
https://it.wikipedia.org/wiki/Rosa_Parks

https://www.studenti.it/rosa-parks-storia-biografia-e-pensiero.html

https://www.focus.it/cultura/storia/la-storia-di-rosa-parks-eroina-dei-diritti-dei-neri

Il topo e il gatto

C’era una volta un grossissimo topo che viveva in una bella casa di campagna. Si era costruito da solo la sua tana scavando, giorno dopo giorno, nel muro della cantina.

Gin, questo il nome del topone, ogni notte usciva dalla sua abitazione, per andare in cucina a mangiare, divorando fino alla sazietà tutto quello che trovava, e portando con sé sempre qualcosa: pane, frutta, biscotti, tutto quello che poteva.

La padrona di casa vedeva sempre che, parte del cibo lasciato per il figlio, al mattino non c’era più, ma credeva che lo avesse mangiato di notte. E quindi, ogni sera si ripeteva la stessa cosa.

In questa casa viveva anche Tommy, un giovane gatto molto dormiglione che non si accorgeva mai di nulla. A lui bastava mangiare e dormire!

Ma una notte accadde un fatto increscioso: Gin, dopo aver divorato una gran quantità di quella pappa, pronto a rientrare nella sua tana, rimase incastrato nel buco, non andava né avanti né indietro.

Spingeva, si dimenava ma non c’era nulla da fare.

Povero me, pensò, Se la padrona di casa mi vede mi farà mangiare dal gatto! Aiuto! Cominciò a sbattere la coda di qua e di là con l’intento di riuscire a passare ma niente da fare.

D’un tratto tutto questo rumore svegliò Tommy che, mezzo addormentato, vide questa scena ridicola: il grosso sedere di un topo che sporgeva da un buco!

Voleva aiutarlo ma non poteva tirarlo per la coda perché gli avrebbe fatto male, quindi cominciò a spingere una, due, tre volte finché il topo riuscì a uscire dal buco facendo un bel capitombolo.

Finalmente sono libero!

Però adesso come poteva mangiare? Non riusciva più a passare da quell’apertura…

Dopo una settimana di digiuno la pancia diminuì, quindi riuscì a passare dal buco e andare a ringraziare il suo amico gatto.

Quella lezione gli era servita anche se continuò sempre a rubare qualcosa ma in maniera limitata, solo il necessario.

Divenne così un bel topo elegante e l’amicizia fra lui e il gatto durò per tantissimi anni.

E la padrona di casa? Sta ancora domandosi come mai il figlio, di notte, non ha più fame!

Sally Swatland, la pittrice dei bambini sulla spiaggia

Amando molto il mare e i bambini, non potevo non scrivere nel mio blog la storia di Sally Swatland.

Nella sua vita mi ci ritrovo, avendo avuto un papà violinista e un antenato, Nicolò Barabino,  restauratore di affreschi nelle Chiese di Genova e dei paesi limitrofi.

Sally nasce nel 1946 a Washington, circondata da artisti. Sua nonna era una violinista da concerto, sua zia un’artista di talento e sua madre suonava il piano e cantava in diversi cori.

Sally era super dotata già da piccola, infatti ha iniziato a dipingere all’età di 5 anni, così come le sue due sorelle.

Ha sempre saputo che voleva diventare un artista, forse non era tanto una decisione quanto un istinto generale a guidarla. La sua famiglia ha incoraggiato i suoi talenti naturali acquistandole colori e cavalletti.

Adesso forse questo può rientrare nella normalità, con i vari corsi per bambini proposti su YouTube o altri canali, addirittura ci sono kit di disegni per bambini con impressi i numeri che corrispondono a un determinato colore. Questo facilita molto il tutto, ma è privo di estro.

All’età di sette anni la sua famiglia si trasferì a Greenwich, nel Connecticut, dove trascorse lunghi periodi in campagna e in varie località balneari. La maggior parte dei giorni estivi furono trascorsi giocando in pozze di marea, inseguendo pesciolini, raccogliendo conchiglie ed esplorando.

Durante la sua infanzia e adolescenza Sally ha sempre dipinto e disegnato, sviluppando la sua capacità di osservazione mentre registrava il mondo intorno a lei. Al liceo si è iscritta a corsi d’arte, mentre alla laurea aveva eccelso al punto che le era stato conferito il premio d’arte per la sua classe di laurea.

Nel 1964 Sally entra al Mount Saint Vincent College di Riverdale, New York, come specialista in arte. Nel 1969, frequenta la Art Students League di New York, prendendo il treno tutti i giorni per frequentare le lezioni. Lì studia disegno e pittura di figure e ritratti per sei anni sotto la direzione di Robert Schulz, un illustratore che ha continuato la tradizione di Norman Rockwell ed è diventato famoso per le sue illustrazioni che abbellivano le copertine di molti libri di Zane Gray.

Aveva ricevuto una vasta formazione sia nella pittura di figura che in quella di paesaggio ed era stata introdotta a diversi approcci, ma era alla ricerca del proprio stile e del proprio pubblico.

Un assolato pomeriggio d’estate, mentre si rilassava con sua madre al Todd’s Point, Sally decise di scattare alcune foto di bambini che giocano nelle pozzanghere, catturando il rapporto tra loro e il modo in cui giocano. Sally lo descrive: “La spiaggia è un luogo perfetto per catturare i bambini e le loro relazioni perché sono spensierati, intensi e felici”.

Dal momento che non era in grado di dipingere in quel momento, si è presa il tempo per assorbire ciò che la circondava, memorizzando e studiando l’acqua, la sabbia, i riflessi e l’atmosfera.

Una volta a casa trasse da queste foto lo spunto per eseguire un piccolo dipinto che mostrò agli amici in quali lo apprezzarono molto. Presto comprese che il suo tema preferito era la spiaggia, dove aveva trascorso tanto tempo crescendo.

Aveva trovato il suo soggetto!

Si sposò nel 1070 con Frank Swatland, amico di famiglia, che le è sempre stato accanto collaborando ai suoi progetti,  fotografando tantissime immagini, di aiuto per i suoi dipinti.

Nel 1975 nacque la sua prima figlia, Noelle, che è diventata una delle sue modelle preferite per queste composizioni.

Chiaramente, Sally aveva trovato i suoi soggetti e un pubblico per loro : vedute di bambini che giocano sulla spiaggia o in un giardino lussureggiante.

Quando i suoi figli sono cresciuti (la sua seconda figlia Katie è nata nel 1981), la famiglia ha viaggiato alla scoperta di altre spiagge. Trascorsero molto tempo sulla costa occidentale, esplorando le comunità costiere della California.  Sulla costa orientale, si godettero le spiagge del Maine lungo la North Shore del Massachusetts e fino a Cape Cod. Le spiagge sono diventate una parte importante e stimolante della loro vita familiare.

Per gran parte degli anni ’80, Sally si è concentrata sulla sua famiglia, trascorrendo molto tempo con i suoi figli. Ha continuato con le sue commissioni di ritratti e si è dilettata a catturare i suoi giovani modelli mentre giocavano sulle spiagge e sui giardini che visitavano. La sua macchina fotografica ha continuato ad essere un registratore importante per i suoi dipinti. Trascorreva molti giorni estivi sulle spiagge e nei giardini intorno a Greenwich, dove portava le sue figlie e le loro amiche e le fotografava.

Portava una varietà di vestiti colorati e un assortimento di cappelli, trascorrendo una notevole quantità di tempo alla ricerca dell’abbigliamento giusto. L’ombrello, la borsa da spiaggia, la fascia o la sedia giusta potevano dare un tocco di colore in più al dipinto. I suoi servizi fotografici sulla spiaggia, in particolare, attiravano sempre una folla, soprattutto di bambini piccoli, permettendole di accedere a ancora più modelli.

Nel 1986 ha avuto un incontro casuale con i proprietari di Caspari, un’azienda di biglietti di auguri con sede a New York. Questo si è trasformato in un lavoro e nei successivi 14 anni ha creato più di 150 disegni originali che sono stati utilizzati su numerosi biglietti di auguri. 

Sally ancora spesso dipinge dal suo studio, non ha più bisogno delle foto, conosce così bene l’acqua e la flora che può contare sui suoi sensi.

Attualmente è membro della Copley Society, Società americana degli artisti marini. Ha vinto moltissimi importanti premi ed è stata coinvolta in numerosi enti di beneficenza.

Kevin Woods e gli leprechaun

In questi giorni ho letto un articolo che parla degli Leprechaun. Avendone sempre sentito parlare come leggenda e avendo fatto dei lavori di grafica su di essi, questo articolo mi ha colpito tantissimo.

Kevin Woods, chiamato “leprechaun whisperer” (colui che sussurra ai leprecauni), è un irlandese di mezza età che vive a Carlingford, a nord di Dublino che è considerata la capitale dei folletti.

Egli è l’ultimo iralndese ritenuto in grado di interagire con loro ed ha ottenuto l’autorizzazione per rendere accessibile la Leprechaun Cavern, vicina allo spettacolare fiordo di Carlingford Lough, in cui si troverebbero 230 folletti.

Entrando in questo tunnel si arriverebbe direttamente alle case dei folletti.

Il signor Woods afferma che queste indicazioni gli sono state fornite da un  predecessore più anziano.

Questa zona dell’Irlanda è famosa per essere una “terra di antiche leggende”. Il delizioso villaggio medievale di Carlingford ed è considerato un posto magico.

Kevin Woods è un importante sostenitore e attivista del folletto con una storia di campagne per i diritti del folletto.

Secondo il sussurratore di folletti, questi stanno bene, anche se il loro numero è  diminuito  negli ultimi tempi.

“C’erano milioni di loro qui in Irlanda e sono morti tutti tranne 236 di loro. Sono  davvero il custode di loro e delle loro vite e lo faccio da quando ho ottenuto loro una specie protetta.”

Durante un’intervista, il  signor  Woods ha spiegato che, mentre la maggior parte delle  persone  non può vedere i folletti, egli ha questi poteri ed essi gli appaiono e comunicano “attraverso un’esperienza fuori dal corpo. I folletti sono spiriti, si manifestano a me come folletti e li visito ogni giorno”.

Il St. Patrick’s Day, ovvero la festa del santo patrono di Irlanda San Patrizio, si celebra ogni anno il 17 Marzo, ed è la festa più importante dell’anno nella Repubblica d’Irlanda.

Tratto da:
https://carlingford.ie/listing/the-last-leprechaun-whisperer/

https://www.irishpost.com/news/leprechaun-whisperer-says-the-mythical-irish-fairies-dont-have-a-problem-with-lockdown-185757

L’albero di Shel Silverstein

Sheldon Allan “Shel” Silverstein(1930-1999), nato a Illinois, è stato un poeta, cantautore, disegnatore, drammaturgo, paroliere, scrittore e musicista. Sapeva suonare chitarra, piano, sassofono, e anche il trombone.

I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Ha alternato magistralmente l’attività di musicista e compositore a quella di scrittore e poeta.

Nel 1963, su suggerimento di un  collega, viene presentato a Ursula Nordstrom, che lo convince ad iniziare a scrivere racconti e storie per bambini.

Uno dei suoi libri illustrati più popolari è The Giving Tree (L’albero che dà), scritto nel 1964. 

Il libro ha suscitato però alcune controversie. La trama si presta a svariate interpretazioni riguardo il legame di amicizia e sfruttamento fra i due interpreti.

L’albero ha vinto nel 2015  il premio Andersen, come miglior libro mai stato premiato.

C’era una volta un albero che amava un bambino. Il bambino veniva a visitarlo tutti i giorni. Raccoglieva le sue foglie con le quali intrecciava delle corone per giocare al re della foresta. Si arrampicava sul suo tronco e dondolava attaccato ai suoi rami. Mangiava i suoi frutti e poi, insieme, giocavano a nascondino.

Quando era stanco, il bambino si addormentava all’ombra dell’albero, mentre le fronde gli cantavano la ninna nanna. Il bambino amava l’albero con tutto il suo piccolo cuore. E l’albero era felice.

Ma il tempo passò e il bambino crebbe. Ora che il bambino era grande, l’albero rimaneva spesso solo.

Un giorno il bambino venne a vedere l’albero e l’albero gli disse: “Avvicinati, bambino mio, arrampicati sul mio tronco e fai l’altalena con i miei rami, mangia i miei frutti, gioca alla mia ombra e sii felice”.

“Sono troppo grande ormai per arrampicarmi sugli alberi e per giocare, disse il bambino. Io voglio comprarmi delle cose e divertirmi. Voglio dei soldi, puoi darmi dei soldi?” “Mi dispiace” – rispose l’albero – ma io non ho dei soldi. Ho solo foglie e frutti: prendi i miei frutti, bambino mio e va a venderteli in città. Così avrai dei soldi e sarai felice”.

Allora il bambino si arrampicò sull’albero, raccolse tutti i frutti e li portò via. E l’albero fu felice. Ma il bambino rimase molto tempo senza ritornare… e l’albero divenne triste.

Poi, un giorno, il bambino tornò; l’albero tremò di gioia e disse: “Avvicinati, bambino mio, arrampicati sul mio tronco e fai l’altalena con i miei rami e sii felice”. “Ho troppo da fare e non ho tempo da arrampicarmi sugli alberi”, rispose il bambino. “Voglio una casa che mi ripari” – continuò. “Voglio una moglie e voglio dei bambini, ho dunque bisogno di una casa. Puoi darmi una casa?”

“Io non ho una casa” – disse l’albero. “la mia casa è il bosco, ma tu puoi tagliare i miei rami e costruirti una casa. Allora sarai felice”. Il bambino tagliò tutti i rami e li portò via per costruirsi una casa. E l’albero fu felice. Per molto tempo il bambino non venne.

Quando ritornò, l’albero era così felice che riusciva a malapena a parlare. “Avvicinati, bambino mio” – mormorò – “vieni a giocare”. “Sono troppo vecchio e troppo triste per giocare, – disse il bambino – “Voglio una barca per fuggire lontano da qui. Tu puoi darmi una barca?” “Taglia il mio tronco e fatti una barca” disse l’albero “così potrai andartene ed essere felice”.

Allora il bambino tagliò e si fece una barca per fuggire. E l’albero fu felice,  ma non del tutto. Molto tempo dopo, il bambino tornò ancora. “Mi dispiace,bambino mio, disse l’albero – “non mi resta più niente da donarti… – non ho più frutti”. “I miei denti sono troppo deboli per dei frutti” disse il bambino. “Non ho più rami, continuò l’albero – non puoi più dondolarti…”. “Sono troppo vecchio per dondolarmi ai rami – disse il bambino. “Non ho più il tronco” disse l’albero “non puoi più arrampicarti”. “Sono troppo stanco per arrampicarmi” disse il bambino.

“Sono desolato” sospirò l’albero – “vorrei ancora donarti qualcosa… ma non ho più niente. Sono solo un vecchio ceppo. Mi rincresce tanto…”. “Non ho più bisogno di molto ormai” disse il bambino “solo un posticino tranquillo per sedermi e riposarmi. Mi sento molto stanco”. “Ebbene, disse l’albero, raddrizzandosi quanto poteva – “ebbene, un vecchio ceppo è quel che ci vuole per sedersi e riposarsi.

Avvicinati, bambino mio, siediti. Siediti e riposati”. Così fece il bambino.

E l’albero fu felice. 

La casa nel bosco

C’era una volta un nonno, dalla lunga barba, che viveva in un bosco. La sua casetta era piccolissima, fatta di legno e tutti gli abitanti della foresta erano soliti passare di lì per salutarlo o perché avevano bisogno del suo aiuto. Chi doveva farsi togliere una spina nella zampetta, chi aveva male a un dente, chi aveva mal di pancia.

Il nonno li conosceva tutti e per tutto aveva un rimedio.

Un giorno bussarono alla sua porta alcuni gnomi,  gli chiesero di seguirlo perché avevano bisogno del suo aiuto. In pochi minuti era pronto per partire, aveva messo nel vecchio zaino tutto quello che poteva servire per curare qualsiasi malanno.

Non chiese nulla agli gnomi, non era la prima volta che gli aiutava. Un animale preso in una trappola, oppure uno scivolato in una buca, un uccellino caduto dal ramo con una ala spezzata.

Questi erano alcuni interventi che aveva dovuto fare. Quindi pensò che anche questa volta si sarebbe trattato di qualcosa di simile.

Dopo aver attraversato vari ruscelli e alcuni sentieri si fermarono. Il nonno non credeva ai propri occhi, davanti a lui, sdraiata in un tappeto di foglie, c’era una bimba bellissima , dai capelli rossi. Dormiva e il nonno rimase estasiato da quel fagottino tenero. La prese delicatamente in braccio e, prima che giungesse la notte, la bimba era già nella casetta del nonno. La rifocillò con del buon latte caldo di capra e dopo poco tempo la bimba si riaddormentò.

Chi era questo essere stupendo, come si chiamava, chi l’aveva portata nel bosco? Queste, insieme ad altre mille domande affluirono nella sua mente.

Più volte, parlando con gli amici gnomi, aveva confidato loro che si sentiva solo, che avrebbe voluto un po’ di compagnia, soprattutto in inverno, dove molti animali andavano in letargo per cui il suo “lavoro” era ridotto.

Capì che gli gnomi, avendo poteri magici, in cambio dei suoi servizi giornalieri, avevano voluto fargli un dono meraviglioso.

Il nonno e la bimba, che chiamò Arianna, divennero inseparabili. La bimba conquistò il cuore di tutti gli animali del bosco per la sua gentilezza, disponibilità e bontà.

Il nonno le insegnò a curare tutti i problemi dei suoi piccoli e grandi amici.

Arianna crebbe e diventò una splendida ragazza, dai lunghi capelli lisci e morbidi.

Un giorno un giovane cacciatore bussò alla porta del nonno  perché si era procurato una ferita alla gamba, e rimase affascinato dalla bellezza di Arianna e…

Ma questa è un’altra storia!

Anna Corti, l’ultima barcaiola

Alcuni anni fa ho letto un articolo riguardante Anna Corti (1926-2015) , di Onno di Oliveto Lario, l’ultima barcaiola lariana.

Questa donna coraggiosa è ancora nel ricordo delle tante persone che sono salite sulla sua barca a remi, per passare  tra le due sponde del ramo lecchese del Lario.

Dall’età di sette anni suo padre l’aveva avviata alla professione di barcaiola.

Anna ha svolto questo suo lavoro con dedizione, pur essendo una professione non semplice prima come bambina e poi come donna.

Anna in questo suo lavoro, modesto ma essenziale per la comunità, ha vissuto gli anni della guerra, tra partigiani, mitragliamenti e sfollati; traghettava quotidianamente pendolari delle fabbriche, commercianti, allevatori diretti alle fiere di bestiame, ogni genere di merci, persino i sacchi della posta, le medicine, il medico, l’ostetrica… in ogni stagione e condizione di tempo.

Ha rischiato anche di essere colpita da Pippo, un aereo nemico che bombardava tutto ciò che era in movimento. Nel periodo bellico, durante una traversata in barca, rischiò di essere colpita da “Pippo”, come la gente era solita chiamare l’aereo che bombardava tutto ciò che si moveva, a terra o in acqua.

“Quel giorno indossavo un abito rosso che mi rendeva facile bersaglio – spiegava lei stessa – e guardavo con sgomento gli spruzzi provocati dalle raffiche in avvicinamento. Per fortuna, però, l’aereo virò e smise di fare fuoco”.

Anni dopo , per casualità, ebbe modo di incontrare il pilota che era a bordo di quell’aereo. Era dell’Aviazione monarchica il quale le confidò di aver capito proprio dal colore dell’abito che ai remi vi era una donna. Da qui la sua decisione di non colpire l’imbarcazione.

Lei riteneva il lago suo autentico amico, dicendo che non l’aveva mai tradita!

È stato scritto anche un libro su di lei: Anna, l’avventurosa vita di una barcaiola lariana, di Luca Sala

Tratto da: 

https://lecconotizie.com/attualita/laddio-di-onno-a-anna-corti-ultima-barcaiola-del-lago/

https://libreriatorriani.blogspot.com/2013/11/lucia-sala-anna-storia-di-una-barcaiola.html?m=1

Suor Plautilla Nelli

Suor Plautilla Nelli è una delle tante donne dimenticate dalla storia dell’arte, il cui recupero è stato reso possibile grazie a un’organizzazione statunitense, The Advancing Women Artists Foundation.

Pulisena Margherita è nata nella famiglia fiorentina dei Nelli, nell’anno 1524. Dopo la morte della madre entrò adolescente nel convento domenicano di Santa Caterina da Siena, a Firenze, considerato uno dei più prestigiosi d’Italia per le virtù delle consorelle-artiste.

Prese i voti nel 1538, quattordicenne, con il nome di Suor Plautilla.

Con questo nome fu molto conosciuta nell’ambiente pittorico dell’epoca.

Suor Plautilla Nelli è la capostipite dell’arte femminile a Firenze nel Cinquecento, citata addirittura dal pittore e storico dell’arte, Giorgio Vasari, il quale scrive che “avrebbe fatto cose meravigliose se, come fanno gl’uomini, avesse avuto commodo di studiare ed attendere al disegno e ritrarre cose vive e naturali”.

Non potendo usufruire di alcun tipo di educazione artistica, fu soltanto copiando disegni e dipinti, usando corpi femminili come modello, che raggiunse la sua maturità artistica, riuscendo a dar vita a una fiorente bottega che coinvolgeva numerose allieve.

SI nota nei suoi quadri la non conoscenza del corpo umano maschile e i suoi santi appaiano molto femminei, così come i volti degli Apostoli dell’Ultima Cena, dipinta per il suo convento.

Il pittore e storico dell’arte, Giorgio Vasari, ci informa che Plautilla avrebbe imparato a dipingere autonomamente, attraverso l’imitazione di altre opere: sappiamo che possedeva dei disegni di Fra Bartolomeo e, probabilmente, anche stampe di opere che circolavano all’epoca. Non ebbe la possibilità di seguire i progressi della pittura perché viveva in convento.

Benché oggi il suo nome rimanga sconosciuto alla maggioranza del pubblico appassionato d’arte, la Nelli godette di grande stima fra i suoi contemporanei.

Realizzò soprattutto dipinti dai soggetti religiosi e quadretti votivi. Le opere di una suora non avevano soltanto un valore spirituale, ma anche una valenza quasi magica, mistica, e possederne una era considerato un simbolo di prestigio.

A lei viene riferita l’immagine più nota di santa Caterina de’ Ricci, con un’iconografia a mezzo busto che venne poi ricalcata anche per altre sante monache toscane, come santa Maria Maddalena de’ Pazzi, o la stessa Santa Caterina da Siena. Una caratteristica ricorrente nei suoi ritratti di Santa Caterina è la presenza di una lacrima, segno della capacità femminile di entrare in empatia con la passione del Cristo.

La maggior parte delle sue tele sono state dipinte per il convento di Santa Caterina, ma oggi risultano distrutte, o situate in altro loco. Fortunatamente alcune chiese domenicane hanno conservato alcune sue opere, come le lunette con San Domenico e Santa Caterina, per il Cenacolo di San Salvi, attribuitele soltanto di recente.

Questo suo famoso quadro è stato recentemente  restaurato e ricollocato nel Museo di Santa Maria Novella, a Firenze. Le dimensioni sono impressionanti. L’intero dipinto proveniente dal refettorio del convento di Santa Caterina di Cafaggio (oggi scomparso), è lungo 7 metri ed alto 2 con personaggi dipinti a grandezza naturale.

Anni di meticoloso restauro sono stati sostenuti grazie al contributo sostanziale di diversi mecenati da tutto il mondo, ma sopratutto grazie all’impegno di AWA Foundation nel recuperare e riportare a nuova luce quest’opera. Fondamentale anche la collaborazione di The Flod e The Florentine per il successo della campagna di raccolta fondi #thefirstlast

I frati Domenicani del Convento di Santa Maria Novella hanno “donato” questo dipinto al Museo omonimo.

Morì nel suo convento nel 1588

Tratto da:

https://www.artribune.com/arti-visive/arte-moderna/2017/02/mostra-suor-plautilla-nelli-uffizi-firenze-pittura/

https://it.wikipedia.org/wiki/Plautilla_Nelli

https://www.smn.it/it/magazine/l-ultima-cena-di-plautilla-nelli-a-santa-maria-novella/

Festeggiamo il Natale

Per questo Natale un po’ strampalato,
in questi giorni che ricordan il passato,
è molto difficile stare a guardare
quello che avviene in oltremare.

Eppure dobbiamo chinare la testa
e fare lo stesso una grande festa,
per tutti quelli che ci sono vicini,
ma soprattutto per i bambini.

Allora apriamo la nostra casetta,
accendiamo le luci e iniziamo la festa,
Babbo Natale ci porterà i doni
anche quest’anno, se siam stati buoni.

Stampiamo sul viso un grande sorriso,
poniamo il cibo che sarà condiviso,
pensiamo un attimo a chi ci ha lasciato
perché in questo giorno non sia scordato.

E allora facciamo che questa giornata,
possa esser di gioia e non rovinata,
diamo la mano a chi ci è vicino
e non scordiamo che oggi è nato un Bambino.

Babbo natale e la nursery

Babbo Natale quest’anno era proprio contento, i suoi amici Elfi avevano lavorato tantissimo e, oltre aver costruito i regali richiesti dai bimbi tramite le letterine pervenute, erano riusciti a fare alcuni giocattoli in più nel caso fossero giunte nuove lettere all’ultimo momento.

Era riconoscente verso i suoi piccoli aiutanti, sapeva che senza di loro non sarebbe stato in grado di portare a termine tutti i preparativi per il Natale.

Era quindi giunta la notte di Natale, caricò sulla slitta tutti i sacchi dei doni, attaccò le sue 9 adorate renne : Dixen Vixen Comet Dazzle Cupid Donner Prancer Dasher e Rudolph, l’ultima arrivata, che era diventata  la capo renna.

Le legò ben bene alla slitta e partì per consegnare i doni richiesti. Iniziò con il primo camino e continuò così per tutta la notte. 

Dopo aver consegnato tutti i pacchetti, si sentì molto stanco, ma felice perché aveva esaudito il desiderio di molti bambini.

Quando fu pronto per ritornare a casa, si accorse che in fondo alla slitta era rimasto un sacco ancora pieno di doni. Si ricordò allora dei giocattoli che gli elfi avevano costruito in più. Non aveva idea di cosa fossero, ma era sicuro che erano particolari.

Cosa fare? Non poteva di certo riportarli indietro, stava inoltre venendo una fitta nebbia e riusciva a orientarsi poco, doveva trovare subito una soluzione. Ecco che intravide tra la nebbia una forte luce. Si avvicinò e vide un edificio con una croce rossa, il colore che amava perché era il colore del cuore e anche del suo vestito. Si avvicinò cautamente e notò che all’interno vi era trambusto. Capì che era una nursery, nel reparto di Maternità. .

Vide persone vestite di bianco, altro colore a lui molto gradito perché gli ricordava la neve. Tutti erano molto allegri, ma, guardando bene, vide che vi erano delle culle in cui dormivano dei piccolissimi bambini, uno accanto all’altro, come dei bellissimi angioletti uniti per farsi compagnia.

Erano tutti nati da pochissimi giorni e molti di loro piangevano. Il suo istinto da Babbo Natale prese il sopravvento, doveva dar loro i regali del sacco, perché questi bimbi sicuramente non avevano potuto scrivere la letterina.

Ma come poteva portare a loro dei giocattoli che erano più grandi di loro? Pensa e ripensa non trovò nessuna soluzione, sapeva che doveva lasciare quei giocattoli lì. Aprì il sacco e con grande sorpresa vide che conteneva solo piccoli carillon di legno, tutti uguali, con una dolce musica di Natale come sottofondo.

Quanto amava i suoi Elfi, loro sapevano, avevano predisposto tutto e solo lui non aveva capito. Gli elfi sapevano che questi bimbi erano nati e non avevano nessun regalo.

Quando tutti si allontanarono mise un carillon vicino ad ogni bambino e poi sparì nella notte buia e fredda. Mentre si allontanava la musica nei carillon iniziò a suonare, tutti i bimbi del mondo, con questa dolce ninna nanna, si addormentarono. Questa soave musica lo accompagnò per tutto il lungo viaggio verso casa.

Era felice.

Dopo una buona cena e un meritato riposo sarebbe stato pronto a iniziare a lavorare per il  successivo Natale.

Chris Dunn: illustratore

Questa volta vorrei scrivere di un illustratore dei giorni nostri. Chris Dunn. Perché?

Vedendo con le nipotine i nuovi cartoni animati mi sono resa conto che le fisionomie, in riferimento al periodo in cui li guardavo con le figlie. Premetto che non sono mai stata una amante di questo genere, ma non posso dimenticare i grandi capolavori della Walt Disney.

La dolcezza dei cani dalmata della Carica dei 101, l’indimenticabile Biancaneve e 7 nani, di cui conosciamo i nomi a memoria, Bambi, che ha fatto piangere grandi e piccini, Cenerentola, che ricordiamo ad Halloween, con la sua carrozza a forma di zucca, Alice nel paese delle meraviglie, nel suo mondo magico, e poi Pinocchio, Dumbo, Le avventure di Peter (Peter Pan), Lilli il vagabondo e tantissimi altri…

Le sembianze dei personaggi di questi capolavori erano aggraziate, distinguibili, indimenticabili.

I cartoni di oggi sono totalmente diversi. Tutto accelerato e di una sonorità allarmante. Diciamo che non rilassano e moltissime volte non hanno una trama o un filo logico. Ma è il mondo che è cambiato!

Ritornando al nostro illustratore, mi ha colpito perché mi sembra un ragazzo di altri tempi, un Beatrix Potter maschile.

Questo ragazzo britannico ha ottenuto una laurea in illustrazione nel 2008 e ha iniziato la sua carriera come ritrattista e paesaggista, ma non era soddisfatto verso questo genere. Amante dell’acquerello ha iniziato a partecipare a concorsi nell’arte figurativa, vincendo dei premi. Si è dato da fare per farsi conoscere e per il confronto con altri artisti dell’acquerello.

Pochi anni dopo, nel 2013, è arrivata la sua grande occasione. Una grande commissione per la rinomata Galerie Daniel Maghen, a Parigi. Doveva dipingere una serie di acquerelli basata su The Wind in the Willows, di Kenneth Grahame. Ha iniziato ad esplorare il mondo alla periferia della riva del fiume citato  nel libro suddetto. Ha iniziato così a illustrare un mondo immaginario fatto di animali dei boschi che interagiscono a casa, sugli alberi, in città, sulla costa, a scuola e persino nell’aria.  

Dopo vari altri successi la pandemia ha sospeso tutto, ma è riuscito  a portare avanti degli ordini in corso.

Finita la pandemia, nel marzo 2021 ha ultimato anche  di illustrare The Night Before Christmas e un libro di filastrocche pubblicate in una raffinata edizione limitata per collezionisti.

Tratto da:
https://www.chris-dunn.co.uk/bio

https://www.chris-dunn.co.uk/

Racey Helps

Avevo scritto tempo fa un articolo sull’illustratrice, naturalista e ambientalista Beatrix Potter.  

Molti altri artisti si sono avvicinati al suo mondo, costituito da disegni di topolini e coniglietti, facendo nuove opere personalizzate.

Uno di questi è Racey Helps, di cui Beatrix è stata fonte di ispirazione.

Angus Clifford Racey Helps, autore e illustratore per bambini,  è nato a Bristol, Inghilterra,  nel 1913. Ha trascorso la sua infanzia nella frazione di Chelvey , nel Somerset. Ha studiato privatamente in una canonica e successivamente alla Bristol Cathedral School . Helps iniziò a scrivere storie, ai tempi della scuola,  per un cugino più giovane malato.

Si sposò con Irene Orr nel 1936 ed ebbe due figli, Anne e Julian ed era solito raccontare alla figlia una favola della buonanotte ogni sera.

Quando scoppiò la guerra, Anne fu mandata a vivere in campagna ed egli iniziò a scrivere ed inviare storie esclusive per lei, inserendo anche illustrazioni.

In quegli anni ebbe la fortuna di essere scoperto da un editore e iniziò così la sua carriera letteraria. 

In seguito la famiglia si riunì vivendo per un certo periodo di tempo a Clevedon , nel Somerset, poi si trasferì a Saltford vicino a Bath e nel 1962 a Barnstaple , nel Devon, dove la pittoresca campagna ha fornito ulteriore ispirazione per le immagini di Helps.

Ha contribuito a diversi annuari per bambini, ha illustrato diversi libri scritti da Helen Wing, autrice, compositrice e pianista americana.

I suoi libri sono stati scritti in uno stile semplice e presentano creature e uccelli dei boschi. È noto anche per aver illustrato cartoline , biglietti d’auguri , puzzle , carte da gioco e carta da pacchi .

Muore in seguito un fatale infarto nella sua casa di Barnstaple nel 1970, all’età di 57 anni.

Tratto da:
https://en.wikipedia.org/wiki/Racey_Helps

La storia della forchetta

Una giovane donna seppe improvvisamente di avere una malattia terribile e che le restavano solamente tre mesi di vita.

Quindi chiamò il parroco per le sue ultime volontà.

Scelse gli abiti da indossare, la musica, le parole e le canzoni.

Quando finì di parlare con il parroco, lo trattenne per un braccio dicendogli: “C’è un’altra cosa…”“Dica.” rispose gentilmente il parroco. “Questo è importante.Voglio che mi sotterrino con una forchetta nella mano destra!”

Il parroco rimase molto sorpreso. “La cosa la meraviglia, vero?” chiese la giovane donna.“Per essere sincero sono piuttosto perplesso dalla sua richiesta!” esclamò il parroco.

Ed allora iniziò a spiegare il perché al parroco: “Dunque! Mia nonna mi ha raccontato questa storia ed io ho sempre provato a trasmettere questo messaggio a tutti quelli che amo ed hanno bisogno di incoraggiamento.

In tutti i miei anni di partecipazione ad eventi sociali e pranzi ricordo che sempre c’era qualcuno che rivolgendosi a me diceva: “Tenga la sua forchetta!” ed era il momento che preferivo, perché sapevo che qualcosa di meglio sarebbe arrivato, come una torta, una mousse al cioccolato o una torta di mele.

Qualcosa di meraviglioso e di sostanza.”

Quando la gente mi vedrà nella cassa da morto con una forchetta nella mano, voglio che si chieda: “Perché quella forchetta?” ed allora lei potrà rispondere: “Tenete sempre la vostra forchetta in mano perché il meglio deve ancora arrivare!” e dicendo questo, la giovane donna terminò la propria spiegazione.

Il parroco, con le lacrime agli occhi, la strinse forte per darle l’arrivederci, pur sapendo che molto probabilmente non la avrebbe rivista mai più viva.

E pensando inoltre che quella giovane donna aveva un’idea del paradiso migliore sia della sua che di tanta altra gente. Lei sapeva che qualcosa di meglio sarebbe successo.

Ai funerali la gente sfilava davanti alla cassa della giovane donna, dove si potevano notare sia il suo bel vestito che la forchetta nella mano destra.

Tutto ad un tratto il parroco sentì l’attesa domanda: “Perché la forchetta?” e sorrise.

Durante la predica, il parroco raccontò la conversazione avuta con la giovane donna alla vigilia della sua morte e raccontò loro la storia della forchetta dicendo che non riusciva a smettere di pensarci e che da quel momento in poi anche loro, ogni qual volta avessero avuto nella mano una forchetta, si sarebbero dovuti ricordare che il meglio doveva ancora avvenire.

Tratto dal web, autore anonimo

La vecchina e il lupo

In mezzo a un bosco, in una piccola casetta di legno, viveva, da tantissimi anni, una vecchina di nome Magò. Ella era conosciuta da tutti gli animali per le sue virtù magiche, sapeva guarire tutti i malanni.

Un giorno bussò da lei un coniglio che aveva male a  un orecchio, Magò andò nel retro della casetta, dove coltivava un piccolissimo orto con tanti piccoli cespugli e erbe, adatte a ogni malattia o dolore. Prese due foglie da un cespuglio, 1 foglia da un altro, 1 mazzetto di erba, lo depose nel suo grande grembiule e fece bollire il tutto. Una volta raffreddato depose il tutto in un panno pulito e lo mise sull’orecchio del coniglio. Dopo pochi minuti questi non ebbe più dolore e se ne andò ringraziandola con un bacio. Dopo di lui venne una volpe perché aveva male a un dente e anche per lei, con altre foglie, preparò un decotto, glielo fece bere e anche lei guarì.

Tutto il giorno andò avanti così, gli animaletti si mettevano in coda: chi aveva un occhio arrossato, chi un graffio, chi mal di pancia, chi prurito, ecc. Per tutti aveva un rimedio e una parola gentile.  

Ma una sera arrivò un lupo, aveva una zampina rotta perché l’aveva lasciata in una tagliola. Il lupo aveva molto male e non riusciva a camminare, così Magò lo fece stendere sul suo divano, fece un impacco di foglie e fango, lo mise sulla zampa e lo fasciò. Il povero lupo non poteva andare via subito, ci volevano alcuni giorni perché guarisse. Ogni giorno gli cambiava la fasciatura e l’impacco e pian piano la zampa guarì.

Ma Magò questa volta era triste, il lupo le aveva fatto compagnia per tanti giorni e adesso lei si sentiva sola, per la prima volta. Il lupo andò nei giorni seguenti a trovarla, perché si era affezionato a lei e le doveva molto ma quando andava via, si accorgeva del suo malumore.

Una splendida mattina di sole Magò sentì del rumore fuori dalla sua porta, credendo fosse un animale ferito andò subito ad aprire e cosa vide? Un cucciolo di lupo, bellissimo, dono del lupo che lei aveva curato con tanto amore.  

Inutile dire che la vecchina da quel giorno fu molto felice e si dedicò ancora di più ad aiutare gli animali del bosco.

Adesso non era più sola.

Juzcar, villaggio dei Puffi

Juzcar, un piccolo paesino in provincia di Malaga, abitato da circa 200 persone, è diventato importante perché nel 2011 è stato scelto come paese per il film dei Puffi in 3D.

Come tutti i paesi in Andalusia in origine era composto da abitazioni bianche e, come tanti altri, ha subito lo spopolamento a causa della possibilità lavorativa.

La scelta di farlo diventare il Villaggio dei Puffi ha dato agli abitanti una svolta positiva. Per questo è stato ridipinto completamente in azzurro.

La cosa più straordinaria è che la tinteggiatura di case, Chiese, negozi, Municipio, Cimitero, ecc. è stata effettuata dagli stessi abitanti. In relazione  a questo 50 disoccupati hanno trovato un impiego, anche se provvisorio.

Sono stati effettuati anche tantissimi murales e giochi per i più piccoli.

Gli accordi erano che, una volta effettuate le riprese, il paese riprendesse le stesse tonalità di prima, ma gli abitanti hanno preferito lasciarlo colorato di blu, a ricordo anche delle riprese effettuate.

Questa scelta bizzarra è stata decisa anche perché il turismo ha iniziato a voler visionare questo villaggio “puffoso”.

A Juzcar si trova un parco giochi per i più piccini, un percorso per i più grandicelli, decori e suppellettili puffosi alle finestre delle case. Vengono effettuati anche eventi a tema, come corse, concorsi di pittura, fiere, tutto rigorosamente a tema Puffo.   

Ma si sa che le cose non avvengono mai come vorremmo, anni più tardi a Juzcar fu imposto di togliere la nomenclatura “Il Villaggio dei Puffi”, modificandola con “Villaggio azzurro” e gli eredi del creatore dei Puffi hanno reclamato al paese di Juzcar il 12% di diritti d’autore.

Tratto da:
https://andalusiaviaggioitaliano.com/provincia-malaga/juzcar-visitare-il-villaggio-blu-dei-puffi-in-spagna/

https://www.itinerariodiviaggio.com/juzcar-villaggio-blu-puffi-andalusia-giornata-77.html

I proverbi Fiamminghi

Ho inserito questo nuovo articolo, insolito per me, legato a un quadro. Mi è stato proposto da un fotografo professionista, Roberto Pestarino.

Il suo avvicinamento alla fotografia l’ho trovato bizzarro e per questo ho iniziato una collaborazione con lui.

I “PROVERBI FIAMMINGHI” DI ROBERTO PESTARINO

A spasso tra pittura e storia con un pizzico di ironia.

Il progetto “Proverbi fiamminghi – da Brueghel a Pestarino” di Roberto Pestarino si compone di 31 scatti fotografici che consistono in una rivisitazione del dipinto, in olio su tavola, di Pieter Brueghel il Vecchio, datato 1559 e conservato nella Pinacoteca di Berlino.

Sulla scia del lavoro di Bosch, Brueghel dà vita, in questo quadro, ad uno spettacolare paese in cui ogni persona compie un’azione ed ogni azione implica un’osservazione meditata. È uno spaccato di vita quanto mai veritiero, che sa mettere a nudo l’animo umano, con il suo bagaglio di debolezza e di forza.

Roberto Pestarino, dopo aver studiato quest’opera, ha voluto trasferirla ai nostri giorni e trasformare i tanti vizi degli uomini in essa evidenziati in spunti per farne, in una lettura ribaltata, virtù.

Nelle varie scene personaggi in carne ed ossa, ma vestiti con costumi d’epoca, attualizzano il proverbio scelto. In ogni scatto proposto dal fotografo è stata posizionata una riproduzione del frammento dell’opera di Brueghel che si è inteso presentare al riguardante, sempre presente il cavalletto.

Realizzare le varie scene ha richiesto l’intervento di attori, truccatori, costumisti. Le scene sono state create talvolta all’aperto, talvolta all’interno. Il lavoro è stato realizzato in collaborazione con Cristina Lucchini la quale si è occupata della regia.

Il progetto, curato dall’esperta d’arte Claudia Ghiraldello, è corredato da un catalogo per le edizioni del Centro Culturale “Conti Avogadro di Cerrione”.

Tre proverbi con interpretazione di Roberto Pestarino:


Pesce grande mangia pesce piccolo

Il pesce grande mangia il pesce piccolo”. Può essere che un giorno il pesce grande impari ad aiutare il pesce piccolo.


Portare l’acqua al mulino altrui

Tirare per avere la fune più lunga”, ossia portare l’acqua al proprio mulino, Pestarino sprona a portare acqua al mulino altrui perché se ne avrà certa ricompensa.


Plasma la tua materia

Lanciare piume al vento”, ossia lavorare senza uno scopo, bensì darsi da fare per creare qualcosa di nuovo, vedendo nei fallimenti un’opportunità di riscatto.

Il bruco sognatore

Un piccolo bruco un giorno camminava in direzione del sole. Vicino alla strada incontrò un grillo che gli chiese: “Dove vai…” Senza fermarsi, il bruco gli rispose: “Stanotte ho sognato che dalla punta della gran montagna io guardavo tutta la valle. Mi è piaciuto quello che ho visto nel mio sogno, “Devi essere proprio matto! Come puoi tu, un semplice bruco, arrivare fino a quel posto? Qualunque pietra per te sarà una montagna; una piccola pozzanghera sarà un mare e qualunque tronco sarà una barriera insormontabile per te! Ma il bruco era già lontano, e non l’udì: i suoi minuti piedi non smettevano di muoversi.

All’ improvviso sentì la voce di uno scarabeo: Dove stai andando con tanto impegno? “Sudato ed ansimando, il bruco gli rispose: “Ho fatto un sogno, e voglio realizzarlo. Salirò su quella montagna, e da li contemplerò tutto il nostro mondo”. Lo scarabeo non poté contenersi, e scoppiò a ridere. Poi disse:” Nemmeno io che ho delle zampe tanto grandi tenterei un’impresa tanto ambiziosa”. E rimase lì sdraiato a ridere, mentre il bruco continuò per la sua strada.

Lungo il cammino, il piccolo bruco incontrò il ragno, la talpa, la rana e un canarino. Tutti gli consigliavano di desistere:” Non ci riuscirai mai, non potrai mai arrivare fin là!”. Ma il bruco, dentro di sé, sentiva un impulso che lo spingeva ad avanzare. Un giorno si senti senza forze, sfinito, e sul punto di morire. Decise di fermarsi e di costruirsi col suo ultimo sforzo un posto dove riposare. Ma dopo un po’, mori.

Tutti gli animali della valle per molti giorni contemplarono i suoi resti e parlavano di lui come dell’animale più matto del paese. Una mattina, però, quando il sole brillava in una maniera speciale, qualcosa cominciò a succedere. Tutti restarono attoniti. Quella conchiglia dura ed opaca, quel monumento di un sognatore matto, quella tomba dove giaceva un verme rozzo e testardo, cominciò a schiudersi e…da quel rozzo bozzolo spuntò una farfalla dalle belle ali con i colori dell’arcobaleno.

Era un essere impressionante quello che avevano di fronte e, quando cominciò a volare, tutti ebbero lo stesso pensiero, tutti sapevano quello che avrebbe fatto: avrebbe volato verso la grande montagna, realizzando il suo sogno, quel sogno per il quale era vissuto come bruco, per il quale era morto, e per il quale era ritornato in vita.

Tutti s’erano sbagliati meno lui.

Carl Larsson e la Casa sotto il Sole

Oggi vorrei scrivere sulla originale casa-museo del pittore Carl Larsson e della sua famiglia, essendo uno dei luoghi più visitati in Svezia.

Carl nacque a Stoccolma nel 1853 in una famiglia indigente. Egli iniziò a studiare in una scuola per bambini poveri, ma a 13 anni fu ammesso all’Accademia Reale Svedese delle arti di Stoccolma. Timido e introverso ebbe  difficoltà relazionali, tuttavia, col passare degli anni riuscì a farsi conoscere per il suo talento.

Dopo aver lavorato come illustratore di libri e giornali, nel 1880 si trasferì a Parigi, dove incontrò l’artista Karin Bergöö, che presto diventò sua moglie.

Dopo poco tempo lasciò la pittura a olio, tecnica maggiormente utilizzata da lui, per dedicarsi all’acquerello.

Nel 1988 la coppia si trasferì nel piccolo villaggio svedese di Sundborn, in una casa che fu decorata ed arredata rispecchiando il loro gusto artistico; i loro eredi hanno trasformato questa casa in un museo che è ancora oggi visitabile.

Carl e Karin ebbero 7 figli, e proprio i suoi familiari divennero i soggetti preferiti per le composizioni dei suoi acquerelli. Scene di vita quotidiana.

Si dedicò a molte opere, alcune molto importanti, come gli affreschi al Teatro dell’Opera ed al Museo Nazionale di Belle Arti di Stoccolma, ma con poco riscontro da parte dei critici.

Nelle sue memorie Larsson si dichiarò amareggiato per il riscontro negativo da parte dei critici riguardo il suo lavoro con gli affreschi,  che lui  considerava essere il suo risultato più grande; nelle stesse memorie riconobbe però che le immagini della sua famiglia, per lui,  furono la parte più immediata e durevole del suo lavoro, perché espressione genuina della sua personalità, dei suoi sentimenti più profondi e di tutto il suo amore per la moglie e i figli.

Oggi lo si ricorda soprattutto per l’originale abitazione in Svezia, donata a suo tempo, dal padre di Karin, che negli anni, per esigenze di spazio, avendo 7 figli,  fu ampliata più volte. Venne soprannominata Casa sotto il  Sole. Essi la decorarono uscendo fuori dai canoni di quell’epoca. I colori scuri, predominanti in quel periodo, furono sostituiti da colori chiari e caldi. Fu soprattutto karin la progettista di tutto: creò tappezzerie, tessuti, disegnò i mobili e Carl invece realizzò dipinti murali raffiguranti i loro figli.

La Casa sotto il Sole oggi appartiene ancora ai tanti pronipoti della coppia ed è visitabile.

Carl Larsson morì nella sua casa di Sundborn il 22 gennaio 1919.

Tratto da:
https://it.wikipedia.org/wiki/Carl_Larsson

Leslie Taylor: il potere curativo delle erbe

Una donna bionda dalla pelle chiara che viaggia lungo il Rio delle Amazzoni e nelle zone più remote della foresta amazzonica è una cosa alquanto strana.

Se poi aggiungiamo che fa trekking attraverso le giungle, studiando le piante della conoscenza indigena degli sciamani indiani e del sudamerica,  conosciuti come guaritori, che utilizzano le erbe, è cosa ancora più insolita.

La sua storia è particolare ma a lieto fine. All’età di 25 anni le è stata diagnosticata una leucemia mieloblastica, che ha iniziato a curare in maniera classica, cioè con la chemioterapia. Questo per due anni, ma senza beneficio. Non c’era nulla da fare, doveva andare incontro al suo destino, implacabile.

Donna dalla forte tempra e consapevole di tutto quello che le sarebbe successo, iniziò a studiare medicina alternativa. Con varie combinazioni di varie erbe, dieta, nutrizione e altre modalità riuscì a sconfiggere il cancro.

Dopo aver vinto questa battaglia Leslie continuò nella sua carriera in affari in Texas.  Nel frattempo però continuò a documentarsi sulle erbe e medicine alternative. Propose anche alla sua famiglia, quando avevano disturbi, pozioni strane e rimedi nutrizionisti.

Nel 1989 fece un viaggio nella natura selvaggia dell’Africa, a contatto della natura e della fauna e flora selvatica e questo le cambiò la vita. Quando ritornò negli U.S.A vendette la sua società e acquistò un ranch sulle colline del Texas. Iniziò a coltivare piante strane, erbe aromatiche e verdure.

Le sue ricerche erano orientate alla scoperta di informazioni sul cancro e sull’AIDS. Venne  a conoscenza di una pianta adatta a questo scopo, l’Uncaria tomentosa, la cui origine era nella foresta amazzonica del Perù. Questo nuovo viaggio cambiò di nuovo il corso della sua vita.

Nel tempo venne soprannominata “la Strega bianca  del Rio delle Amazzoni”.

Il suo scopo principale è che le persone apprezzino la foresta pluviale e le sue immense risorse e cerchino di salvare il più possibile questo habitat.

Elisabeth Barrett, poetessa inglese

Elisabeth Barrett nacque nel 1806 a Durham, in Inghilterra. Visse un’infanzia privilegiata con i suoi undici fratelli. Il padre aveva fatto fortuna grazie a delle piantagioni di zucchero in Giamaica e aveva comprato una grande tenuta a Malvern Hills, dove Elizabeth trascorreva il tempo andando a cavallo e allestendo spettacoli teatrali con la sua famiglia.

All’età di dodici anni scrisse un poema epico.

Fra il 1832 e il 1837, a seguito di grandi problemi economici, , la famiglia Barrett traslocò tre volte per poi stabilirsi a Londra.

Nello stesso periodo, Elizabeth Barrett ebbe gravi problemi di salute che la resero invalida agli arti inferiori e la costrinsero a restare in casa e a frequentare solo due o tre persone oltre ai familiari.

Nel 1844, l’uscita dei Poems la rese una delle più popolari scrittrici del momento.

La lettura della sua raccolta di poesie spinse il poeta Robert Browning a scriverle per manifestare il proprio apprezzamento, cui fece seguito una intensa corrispondenza.

Nel 1845 si incontrarono e, poco dopo, essendo il padre di Elizabeth fieramente contrario alle loro nozze, si sposarono di nascosto e fuggirono insieme a Firenze. A circa 43 anni la salute migliorò ed ebbero un figlio.

L’amore fu per lei il più grande avvenimento della vita, e innalzò il suo cuore, e col cuore l’ingegno, alle più elevate regioni poetiche.

La sua opera più ampia è il lungo poema Aurora Leigh, del 1857, in cui esalta in modo poetico la necessità dell’emancipazione femminile.

Struggente e malinconica la indimenticabile poesia: Il lamento dei bambini.

Aggravatesi le sue condizioni di salute, morì a Firenze a 54 anni ed è sepolta nel cimitero degli inglesi .

Tratto da:
https://it.wikipedia.org/wiki/Elizabeth_Barrett_Browning

Annick Terra Vecchia: illustratrice

Oggi avrei voluto scrivere alcune notizie su una artista-illustratrice, Annick Terra Vecchia, che amo moltissimo, ma le notizie in rete non solo sono scarse, non si trova nulla.

Anche il cognome non so se è unito oppure diviso. Si legge solo che è dell’alta Savoia, quindi francese, che i suoi maggiori interessi sono i paesaggi montani e scene rurali, utilizzando la tecnica dell’acquerello. Realizza anche decorazioni per mobili o tessuti d’arredo, icone e meridiane.

Alcuni acquerelli sono icone in quanto alcune case o altri elementi del mondo rurale non esistono più.

Non si sa se esso sia il suo vero nome o uno pseudonimo.

Ci cono in commercio anche alcuni suoi libri illustrati, che, anche se usati, costano molto, ma il suo talento non ha costo. 

Ho avuto modo di conoscere i suoi lavori nel centro di Aosta, non c’è cartoleria o tabaccheria che non abbia in vetrina le sue cartoline. Con il tempo ne ho collezionate parecchie e le ho anche riprodotte, su carta o stoffa.

Chiunque avesse notizie relative a questa illustratrice sarò ben contenta di poter  ampliare il mio articolo.

Alcuni lavori… 
Originale


Copia


Originale


Copia

Alcuni acquerelli di Annick Terra Vecchia

http://www.lepetitcolporteur.com/2019/fr/aquarelles_A.php                                                            

Un villaggio tra gli alberi

Chi tra di voi non avrebbe voluto, da bambino, una casa tra gli alberi, un posto in cui isolarsi o dove nascondersi.

Per me, che vivevo in città, questo era una sogno che non si è mai realizzato. Abitavo in una grande palazzo e la mia “casa tra gli alberi” era il grande terrazzo sul tetto, diviso da un muretto tra tutti coloro che abitavano all’ultimo piano. E io ero tra questi. In estate il caldo torrido estivo era impossibile da sostenere e, per poter sopravvivere a questo, riempivo una grande bacinella di acqua che ogni tanto cambiavo perché si surriscaldava subito e con questo mi bagnavo costantemente.

Eppure molto del mio tempo libero lo vivevo così: un libro, un quaderno su cui annotare i punti salienti letti o alcuni miei pensieri. E mi abbronzavo, la mia pelle scura, già ad aprile, era motivo di invidia a molte mie coetanee.

Quando ho scoperto, un po’ di tempo fa, che esiste addirittura un Villaggio, popolato da diverse famiglie,  che ha deciso di vivere così sono ritornata indietro nel tempo.

Il Villaggio, il primo in Italia, si trova in Piemonte. Le famiglie vivono in sintonia con la natura e le case sono state costruite prediligendo materiali  del bosco o riciclati.

Tutte le abitazioni sorgono tra castagni ad un’altezza di 6/7 metri, per non gravare sui rami sono sostenute anche da grosse travi e sono interconnesse da ponti e passerelle di legno sospese, permettendo di non scendere mai a terra per spostarsi da un punto all’altro del villaggio. Tutti gli appartamenti sono dotati dei più moderni confort: internet, tv, telefono e così via ma nel rispetto dell’ambiente e senza sprechi.

Le persone che vi abitano sono di vario ceto sociale, ma li unisce l’esigenza di vivere una vita diversa , a contatto con la natura. Ognuno di loro si occupa di tenere il bosco pulito e si rende disponibile ad ospitare chiunque voglia dare una mano.  

L’abbraccio

Ho avuto modo di leggere da più fonti questo articolo scritto da Germana Galmazzi che mi piacerebbe tanto poter conoscere. 

È uno scritto in cui mi ci rivedo più volte e credo anche molte/i di voi. Il sottovalutare l’entità di questo gesto semplice, spontaneo non è corretto perché senza questo gesto di dimostrazione di affetto e di protezione nessuno di noi può farne a meno.

Io sono cresciuta in una famiglia nella quale i gesti di affetto non esistevano e, secondo la mia esperienza, questa mancanza lascia degli strascichi. Ancora oggi, mamma e nonna, ho difficoltà ad attuare questo gesto semplice ma essenziale. 

Durante il periodo Covid si è parlato molto dell’abbraccio, il non poterlo più fare o riceverlo ha creato in molti un isolamento, un senso di mancata protezione ed affetto, pur essendo consapevoli della motivazione. 

Molte persone che hanno perso un loro caro in quel periodo, ne hanno sofferto molto, lasciando quel vuoto dentro di loro, un rammarico che non si placherà mai. 

È stata istituita anche una giornata mondiale dell’Abbraccio, il 21 Gennaio.

La prima Giornata mondiale dell’abbraccio fu celebrata il 21 gennaio di 36 anni fa, nel 1986 a Clio, in Michigan. A inventarla fu il il reverendo Kevin Zaborney.

Questa è il racconto per intero di Germana Galmazzi, racconto triste ma che fa riflettere. 

Mi chiedo se sia possibile avere nostalgia di qualcosa che non si è avuto, sapendo che comunque non lo si potrà avere mai.
Parlo di un abbraccio, io ho nostalgia di un abbraccio che avrei voluto e che mia madre non mi ha dato.

Non in un giorno o una situazione particolari, non per una caduta dolorosa o un amore finito. Io parlo dell’Abbraccio, quello che ti senti ancora dentro dopo che lei è morta, quello che ti senti ancora fuori quando ti rannicchi, chiudi gli occhi e ti lasci avvolgere dal ricordo.

Ho provato a cercarlo ovunque, mi sono detta “due braccia che ti stringono è un abbraccio”.

Ma non è così semplice.

Nell’abbraccio di un uomo ho trovato tenerezza, protezione, ma basta un niente perché si trasformi in passione.

Anche nell’abbraccio di un figlio ho trovato tenerezza e protezione, ma basta un niente e si trasforma in un “Grazie, ora sto bene”, anche se non è vero che stai bene.

Perché non ricordo alcun abbraccio di mia madre? Eppure deve avermene dati.

Guardo le fotografie dove lei mi tiene in braccio. Perché non lo ricordo?

Ho avuto il coraggio di chiederglielo. Ero grande e continuavo ad avere questo desiderio, questa nostalgia.

Le ho scritto un biglietto: c’era Snoopy che ballava e io ballavo con lui, per avere trovato il coraggio di dire quello che per tanti anni avevo tenuto dentro: amore, bisogno, parole.

Non una risposta a quel biglietto, né una battuta ironica, né una frase commossa, o – come dire – un accenno di rammarico per quello che non ha saputo darmi.

Il silenzio. Peggio di uno schiaffo, peggio di un rifiuto, il peggio di tutto quello che una madre ti può dare.

L’ho cercato fino alla fine, questo abbraccio, fino alla fine di lei.

E quando stava morendo io, quasi approfittando della sua malattia, della sua debolezza, la lavavo, la pettinavo, le massaggiavo tutto il corpo, quel corpo che non ero riuscita a sentire vicino in un abbraccio;
quando stava morendo e ormai parlava con i suoi morti, a un tratto mi chiese:”Mi vuoi bene?”

La rabbia salì dal cuore fino alla gola. Avrei voluto urlarle:”Che cosa mi stai chiedendo? E’ tutta la vita che ti voglio bene.”
Tutta la mia stronza vita, l’ho vissuta per dimostrarti che ti voglio bene.
E tu, un fottutissimo “ti voglio bene”, me lo vuoi dire? Una sola volta, me lo vuoi dire?

Ma l’abbracciai io, l’abbracciai e le dissi: “Certo che ti voglio bene”.

E dolcemente la poggiai di nuovo sul letto dove poco dopo sarebbe morta lasciandomi sola, non più di come mi aveva lasciato quando era viva, ma senza più la speranza di poter avere da lei un abbraccio nel quale entrare per farmi consolare.

Filastrocca:la rinascita della farfalla

Oggi ho visto che nella piscina
era caduta una farfallina,
sbatteva le ali, voleva volare
ma non ce la poteva proprio fare.

La tirai fuori delicatamente
ma il suo respiro era assente,
io non sapevo che cosa fare
e la misi al sole ad asciugare.

Aveva le ali trasparenti
con delle strisce fluorescenti
e due antenne sul suo capino
e un corpicino marroncino.

E dopo vidi che respirava
e l’ala di destra piano vibrava,
voleva aiutarsi e darsi calore,
voleva togliersi da quel torpore.

E poi a un tratto cominciò a volare
e poco dopo sopra a un fiore girare.
L’avevo aiutata a tornare in vita,
la mia preghiera era stata esaudita.

Filastrocca: mamma

Mamma, dal viso sempre stanco,
il tuo capello diventato bianco,
il tuo sguardo dolce ed affettuoso,
le tue carezze, un gesto prezioso.

Quanti anni passati a coccolare,
quante notti in piedi a vegliare,
ma avevi sempre un grande sorriso,
niente traspariva sul tuo bel viso.

Se tutte le mamme si tenessero per mano,
forse il mondo sarebbe un po’ più umano,
se tutte le mamme facessero un girotondo,
che bello sarebbe questo mappamondo.

Il bianco, il nero e ogni altro colore,
starebbe dentro il cerchio senza nessun timore,
se il cieco, il sordo e altra diversità,
si sentirebbero amati senza perplessità.

Mamme della storia, di oggi e del domani,
accogliete questo dono, a piene mani,
non c’è suono più bello che si possa sentire,
non c’è parola più bella che si possa udire.

Filastrocca: anche le bambole hanno un cuore

Sono una bambola e questo si vede,
non piango e non dormo, ho poche pretese.
Mi sveglio al mattino con la padroncina,
scendiamo dal letto e mi tiene vicina.

Dicono che noi bambole non abbiamo un cuore,
ma questo non è vero, il mio è pieno d’amore,
la bella bambina che è sempre con me,
sa che io l’amo, senza un perché.

Quando al mattino sono nella stanzetta,
mi sento sola, sola soletta,
il tempo non passa, mi sento giù,
le ore scorrono, non ne posso più.

Ma quando è sera la casa si riempie,
di mille suoni, in ogni ambiente,
arriva la mamma e poi il papà,
la mia padroncina che fratelli non ha.

E allora mi scordo della giornata,
mi sento allegra ed appagata,
mi ritrovo in braccio alla mia amichetta,
sono felice e la notte ci aspetta!

Guardare il mondo dagli alberi

Mi ha colpito molto questo articolo scoperto per caso in rete. l’ho trovato interessante perché è inusuale. Per scrivere ognuno di noi ha un suo metodo personale:chi si isola in una stanza, chi addirittura sceglie un ambiente lontano  da tutti dove vivere per settimane e chi invece non ha problemi e scrive dove gli capita, non facendo caso a chi o a cosa gli stanno attorno.

Personalmente, io che scrivo favole e filastrocche e gli articoli da inserire nel blog, amo starmene da sola. Anche il silenzio deve far parte di questo mio appartarmi. Diciamo che amo isolarmi in ogni cosa che faccio, dal disegnare, leggere o guardare un film. 

Tornando all’articolo, ripetendomi, mi ha colpito questa ragazza di origini napoletane, Lavinia Petti, che, scrive, sin da piccola amava arrampicarsi sugli alberi. 

“Tutto quello che scrivo finisce su una penna USB a forma di scimmia. Me l’ha regalata mio padre e io, con una spiccata punta di originalità, l’ho chiamata La Scimmia. Mio padre sa il fatto suo e sa anche il fatto mio.”

Quindi Lavinia, che passa la maggior parte del suo tempo in alto, in un mondo tutto suo. Il suo non è un fuggire ma un cercare un punto diverso dalla realtà.  Lei si arrampica su qualsiasi cosa, da sempre. tronchi, muri, rocce, nastri, corde.  Non per niente frequenta anche un  scuola circense.

“Non è facile come sembra: spesso tra quei rami e quelle pagine ti senti solo, distante, dimenticato. Ti chiedi che sapore abbia vivere laggiù, vivere davvero. Se i colori sono più intensi, gli odori più forti, gli sguardi più intimi. Così, più volte, provi a scendere. La forza di gravità ti reclama, perché anche se non vuoi crederci, lei esiste e ogni tanto viene a farti visita. All’inizio è tutto inebriante, carico, vivo… poi ti accorgi che quello sotto i tuoi piedi non è terreno: sono sabbie mobili. Allora torni su di corsa, dal popolo degli alberi “.

E in questo contesto ha scritto il suo primo libro : Il ladro di nebbia. 

Tratto da: 

https://www.illibraio.it/news/dautore/lavinia-petti-alberi-fuga-219472/

Filastrocca: l’eleganza del merlo

Un merlo passa
e poi vola via
ha fatto notare
la sua grande maestria
nel prendere il volo
e nel camminare
a testa alta
senza tanto pensare.
Col suo manto nero
di estrema eleganza
con gli altri uccelli
dà dimostranza
che non serve avere
un colorato piumaggio
e una livrea
non ti dà il coraggio.
Per quanto si dice
che il nero non è bello
se hai un bel portamento
diventa un gioiello,
il becco arancione
gli dona quel tocco
di estrema eleganza
in un corpo un po’ tozzo.
Persino le uova
che fa sono belle,
un tocco di cielo
e qua e là delle stelle.


Filastrocca: le sette ochette

Vi guardo e vi dico che siete belle,
sette ochette, tutte sorelle,
chissà perché vi chiaman giulive,
forse perché siete aggressive?

A dir la verità non so che vuol dire,
ho usato la rima per non farlo capire,
ma ora non serve, ormai ve l’ho detto,
sono piccina, ho poco intelletto.

Vi ho portato in questo boschetto,
ma non c’è l’acqua per fare il bagnetto,
ma se usiamo la fantasia,
potete nuotare con frenesia.

Facciamo che il prato sia un ruscello
e che poi dentro mettiamo un cestello,
io dentro a questo mi adagio pianino
e voi sguazzate da sera a mattino.

Ogni bambino ha la sua fantasia,
chi parla con un merlo o va in Tunisia,
è questo il bello di noi piccini,
giochiamo con niente e siam tutti bellini!

Amelia Aerhart: la leggendaria pilota

Non particolarmente attratta dai viaggi in aereo ma circondata da parenti piloti,  mi ha molto colpito la storia di Amelia Aerhart (nata Amelia Mary Earhart il 24 luglio 1897). Ho avuto modo di vederne il film, dal titolo Amelia. È quasi interamente girato in flashback, cioè  una scena interposta che riporta la narrazione indietro nel tempo dal punto attuale della storia . I flashback sono spesso usati per raccontare eventi accaduti prima della sequenza principale di eventi della storia per riempire un retroscena cruciale.

Earhart è rimasta affascinata dalla vista di un aereo che volava sopra la sua testa nella prateria del Kansas dove è cresciuta.

Quando nel 1920 sale per la prima volta su un aereo, è amore a prima vista. Da lì in avanti studierà volo, diventerà pilota, metterà a segno alcuni importanti record, attraversa gli Stati Uniti senza mai fare scalo, attraversa l’Atlantico dal Canada all’Irlanda del Nord, e infine progetta l’impresa delle imprese: compiere il giro del mondo in aeroplano.

Il viaggio, pianificato a lungo, e con grossi problemi d’attuazione fin dall’inizio, le appare come una sfida tanto difficile quanto eccitante; per questo non si arrende ai primi tentativi falliti miseramente. Poi finalmente la missione. Da donna straordinaria quale era, insieme al suo navigatore, Fred Noonan, nel 1937, parte da Miami, e tocca il SudAmerica, l’Africa, l’India, l’Asia Sudorientale, la Nuova Guinea.

È dopo che è ripartita da qui che, sorvolando il Pacifico, ha l’incidente fatale: rimane senza carburante, probabilmente, e non riesce a mettersi in contatto con la torre di controllo più vicina, ad Howland, per cui se ne perdono le tracce. È il 2 Luglio 1937.

La sua scomparsa ha lasciato tutti sgomenti, anche perché si avvolge di mistero, anche se sembra che i suoi resti siano stati trovati.

La fama di cui si è ammantata questa donna, che ha osato laddove molti uomini non si erano e non si sarebbero mai spinti, rimane immortale, e lei è a tutti gli effetti un’eroina americana.

Mi piace pensare che abbia trascorso gli ultimi suoi anni ad Howland, questo atollo disabitato nell’Oceano Pacifico, a vivere di pesca e di fauna, a godere della bellezza della natura e a vivere alla giornata, lontana da giornalisti e riflettori.

In fin dei conti il suo sogno si era realizzato.

Tratto da:
https://viaggimarilore.wordpress.com/2016/03/08/donne-viaggiatrici/