Una delle mie altre grandi passioni è la montagna. Non sono mai stata una scalatrice, per me la montagna è solo escursione e nella scala delle difficoltà mi fermo alla EE.
Non mi sono cimentata in scalate o arrampicate, non ho mai sfidato il destino, anche se credo di essermi persa, così, spettacoli mozzafiato e quel senso di infinito descritto dagli alpinisti, quella sensazione di sentirsi un tutt’uno con il cielo e la terra.
Mi accontento, però, di quello che in tanti anni ho visto.
Ho iniziato ad andare in montagna da giovanissima, in luoghi sperduti della Val Maira, non ancora meta escursionistica in quel periodo.
Partivo da Genova in giugno con una amica e la mia piccola 126, una valigia con pochi indumenti e cibo che doveva bastare per 20 giorni. Nel luogo dove andavamo i negozi non c’erano, quindi dovevamo procurarci tutto prima.
Giunte a destinazione, a 1700 metri di altezza, si presentava ai nostri occhi uno spettacolo meraviglioso, un grande prato ai piedi delle montagne e due baite vuote. Una delle quali era da noi affittata tramite conoscenti.
Il silenzio, quel senso di pace interiore ed esteriore, dove tutto è ovattato. Solo il fischio delle marmotte, lo scorrere inesorabile dell’acqua del fiume, il fruscio del vento tra le fronde degli alberi.
Al mattino, se i tuoi passi erano leggeri, le marmotte le potevi vedere nei pressi della baita.
Erano uno spettacolo, magre dopo il letargo invernale o grasse perché in gestazione, ma bellissime.
Imprudenti forse, non abituate ad avere compagnia, si aggiravano tranquillamente intorno alla casa.
La natura era la loro casa, il loro immenso giardino.
Quello che colpiva la mia amica e me era quel senso di pace; abituate a vivere in città, nel traffico, sicuramente inferiore a quello di oggi, ti faceva andare sempre di fretta! Il lavoro in ospedale poi non aiutava lo spirito a essere sereno e ti caricavi per un anno le sofferenze di tante persone, per cui lì staccavi la spina da tutto e da tutti.
Esistevi solo tu, le marmotte e i monti.
E poi ho continuato ad andare in montagna tutti gli anni con la famiglia, sempre con lo zaino sulle spalle o quello porta bimbo per la figlia. Il luogo era sempre la Val Maira, che ho frequentato ancora per parecchi anni.
Amavo quel posto, la sua locazione, la solitudine, la casa. Tutto era accogliente e lasciavi lì il cuore quando andavi via ma sapevi che il prossimo anno tutto sarebbe stato come prima.
Ho trasmesso alle figlie l’amore per la montagna e ne vado orgogliosa. Spero che questo si possa tramandare di generazione in generazione.
Ancora oggi, anche se sono passati tanti anni, amo camminare tra i monti. Zaino in spalla, un paio di buoni scarponi, un bastone e la partenza di buon mattino.
Di carattere devo avere per forza una meta, non amo fare una camminata senza un obiettivo. Può essere un lago, un rifugio, una casa del guardiaparco, ecc. ma devo raggiungere un luogo. Solo così la fatica si fa sentire meno e continuo ad andare avanti, a camminare, a non sentire il sole cocente e le spalle che fanno male sotto il peso dello zaino. Eh sì, lo zaino. È superfluo dire che è indispensabile se si fanno lunghe camminate. Deve contenere l’indispensabile in caso di cambiamenti climatici o situazioni avverse.
La montagna è imprevedibile, non bisogna mai sottovalutarla, anche se la meta non è lontana e la giornata è splendida. Basta un cambiamento climatico e può iniziare a piovere in pochissimo tempo. Tutto cambia in montagna e ogni cosa può essere pericolosa: il sole non scalda più, le rocce diventano scivolose e attirano i fulmini che, data l’altitudine, sono forti e molto carichi di elettricità. La nebbia può insorgere in pochissimo tempo e non farti più intravedere il sentiero.
Ma è bello anche questo, fa parte del gioco, dell’avventura.
Ciao Nonna Lulù – questo mese di Settembre sono stata surclassata di cose da fare. Anche se non mi hai mandato il codive html del tuo banner ho messo l’immagine del tuo blog con il link nella sezione blog Amici, ora sei ospite dal Rifugio. come tu hai ospitato il Rifugio. Buona domenica.