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Il mio migliore amico

Giovanni andava a scuola in un grande edificio giallo con le persiane verdi. Faceva la 4ª elementare e aveva frequentato sempre la stessa scuola, dalla 1ª. Conosceva quindi perfettamente tutti i suoi compagni ma nonostante questo non aveva amici.

In quel periodo aveva visto i suoi amici crescere in statura e anche lui era cresciuto ma non arrivava mai a essere alto come loro. Questo fatto lo rendeva triste perché lo faceva sentire diverso. Ogni anno sperava nel “miracolo” ma questo non avveniva.

Inoltre ai suoi amici piaceva ridere e dialogare molto mentre lui se ne stava in disparte e nelle discussioni non interveniva mai. Non capiva se era colpa della “diversità”  che lui sentiva o perché questo facesse parte del suo carattere.

Anche la maestra, a cui lui era molto affezionato, non lo interrogava mai, come se non facesse parte del gruppo e non capiva se era per proteggerlo, o perché sapeva che avrebbe fatto scena muta o perché lo ritenesse inferiore.

Durante la ricreazione poi nessuno lo invitava a giocare con lui per cui si sedeva in disparte a guardare gli altri.

Si sentiva diverso e sapeva che questo era sì dovuto alla sua statura ma anche perché portava gli occhiali da vista, la sua pelle era scura e aveva una leggera balbuzie. Tutti dati che gli altri non avevano. Per questo tendeva  a isolarsi e non riusciva a cambiare e così i giorni e poi gli anni passavano e lui continuava sentirsi solo e triste.

Ma un giorno a scuola arrivò un nuovo bambino, Gabriele e Giovanni pensò che lui sì che era diverso: era su una sedia a rotelle. Subito pensò che adesso, essendo in due a essere “strani”, sarebbe diventato il suo amico e insieme avrebbero affrontato la scuola e la vita. Ma quanto si sbagliò, il sorriso di Gabriele attirò l’attenzione di tutti. I compagni subito lo circondarono, insieme alla maestra: chi voleva spingere la carrozzina, chi voleva sapere perché la possedeva, chi voleva sapere il suo nome, i suoi giochi preferiti, dove abitava, se aveva animali…insomma, mille domande a cui lui rispondeva sempre con il sorriso.

In pochissimo tempo tutti gli erano amici. Intuivano le difficoltà che poteva avere ma di cui non parlava mai. Tutti facevano a gara per giocare con lui durante la ricreazione.

Con il suo modo di fare, sempre gentile e garbato, con il suo sorriso, con la sua tenacia, con il suo ottimismo in pochissimo tempo tutti volevano stare insieme  a lui, compreso Giovanni. Lo stimava tantissimo, anche se raramente riusciva ad avvicinarsi a lui, per il suo carattere schivo.

Gabriele non era mai solo, aveva sempre qualcuno al suo fianco e gli inviti dopo la scuola erano notevoli.  

Egli divenne così un grande stimolo per Giovanni e per tutti, gli fece capire che  l’essere diversi e il sentirsi diversi non sono la stessa cosa, bensì sono due cose distinte. Lui era diverso solo per il fatto che non poteva camminare, ma in tutte le altre cose era un bambino uguale a tutti gli altri. Invece Giovanni, che poteva camminare, aveva dentro di se questa strana sensazione di solitudine e diversità, solo perché la sua altezza era inferiore e la timidezza spiccata.

Egli così, capì, con l’aiuto di Gabriele, che doveva capire che si stava facendo del male da solo. Nel giro di pochi giorni si fece molti amici e cominciò ad accettarsi e a sentirsi uguale agli altri.

Solo con un grande esempio di vita riuscì a sentirsi finalmente felice.

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