Una delle mie grandi passioni è andare per funghi.
Ancora oggi, come da bambina, il cuore mi batte forte se il mio sguardo ne intravede uno e l’adrenalina sale.
I miei ricordi mi portano a quando avevo cinque o sei anni. I miei due fratelli erano soliti, all’inizio dell’autunno, nelle alture della Liguria, andare a funghi.
Ricordo che alcune volte mi portavano e io esultavo dalla gioia. Certamente loro dovevano adeguarsi al mio passo, per cui non sempre facevo parte della squadra.
Quando decidevano di portarmi, per me era una festa. Dalla sera mi preparavo al grande evento: il piccolo cestino di vimini, gli stivali, il K-Way, il coltellino di plastica adatto ai bambini.
Si partiva al mattino molto presto, intorno alle quattro, quando era ancora buio e il silenzio della città non mi metteva a mio agio. Non ero abituata e faticavo a orientarmi.
Mezza insonnolita salivo in macchina e nel tratto di strada, a volte molto lungo, ripiombavo nel sonno.
Si arrivava sul posto che non era ancora l’alba, la nebbia mattutina nel bosco dava un senso di misterioso, di impenetrabile. Una colazione fugace in attesa che si facesse giorno e poi dentro, nel sottobosco. Penetravi con attenzione mista a paura e dopo pochi minuti i tuoi indumenti erano già intrisi di goccioline d’acqua.
Se stavi in silenzio potevi percepirne i vari rumori: il vento tra gli alberi, il cinguettio degli uccelli, il gocciolio dai rami e altri suoni che conferivano un che di misterioso nel fascino del risveglio mattutino della natura.
Come prima cosa la ricerca di un ramo solido da sfruttare come bastone, indispensabile, e mille precauzioni di come comportarsi nel bosco: stare vicini, aiutarsi con il bastone a smuovere le fronde, non toccare con le mani funghi non conosciuti, non distruggere con il bastone o calpestando quelli cattivi.
Il mantenere l’equilibrio era una prerogativa molto importante.
La luce era tenue, anche se stava venendo giorno, ma dovevi far presto per anticipare gli altri raccoglitori di funghi che giungevano man mano. Con la luce tu dovevi già essere sul posto. Incespicavo spesso, essendo piccola, ma andavo avanti con energia e desiderio di trovare funghi.
E quando ne intravedevo uno, bello, sano, in mezzo alla vegetazione, lo riconoscevo a distanza, sia che fosse un porcino (Boletus edulis) o meglio ancora un ovulo (Amanita caesarea). E sì, a quei tempi di ovuli ve ne erano parecchi, sembravano uova sode con il tuorlo scoppiato dentro.
Allora chiamavo il fratello più vicino a me e insieme lo raccoglievo, avendo l’accortezza di lasciare la zolla di terriccio ancora in terra. Una prima pulizia sul luogo di raccolta e poi nel cestino, dopo aver messo dentro parti di felci o altro per mantenere l’umidità.
Poi ne raccoglievamo altri: combette, galletti, manine…
Ma era stata lo stesso una bella giornata!
Curiosità:
alcuni ricercatori americani hanno scoperto in Oregon un fungo gigante che potrebbe essere l’ organismo vivente più grande della Terra. Il fungo, il cui nome scientifico è “Armillaria Ostoyae”, cresce nella terra e tra le radici degli alberi della Malheur National Forest, nelle Blue Mountains dell’ Oregon orientale. Secondo gli scienziati copre 890 ettari di terra, l’ equivalente di 1665 campi di football. Questo particolare esemplare sarebbe vecchio almeno 2400 anni.
http://www.einaudi.it/var/einaudi/contenuto/extra/978880619884PCA.pdf